di Valentina Palermo
“Era solo un extracomunitario. Non hanno fatto niente di male.” Se la storia dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte non fosse già abbastanza tremenda, ci ha pensato il parente di uno dei presunti assassini a rendere la vicenda ancora più raccapricciante. Secondo alcuni amici del ventunenne ucciso a calci e pugni per aver difeso un suo coetaneo la notte fra il 5 e il 6 settembre, il genitore di uno degli accusati avrebbe minimizzato l’accaduto sostenendo che Willy fosse solo un immigrato la cui vita non valeva nulla.
Orrore su orrore. La dichiarazione dimostra quanto il background dei ragazzi incastrati dai testimoni e dalle telecamere di videosorveglianza abbia influito sulla loro condotta. In molti negli ultimi giorni si sono scagliati contro l’MMA, l’arte marziale praticata da due degli aggressori. Si è detto che è una pratica troppo violenta, che le mosse possono uccidere e che non bisognerebbe insegnare questo tipo di disciplina ai ragazzi. A questo punto, però, è abbastanza evidente che l’MMA, per quanto possa essere pericolosa, non ha molto a che fare con il pestaggio. Bisognerebbe andare oltre, scavare nelle vite e nelle famiglie di quei quattro assassini. E bisognerebbe farlo proprio partendo dalla frase “Era sono un extracomunitario. Non hanno fatto niente di male.”
Dietro questa dichiarazione shock si cela non solo una totale mancanza di umanità ed empatia, ma anche la superbia di chi pensa che la vita di un immigrato valga di meno di quella di un cittadino italiano. A prescindere dal fatto che Willy era italiano tanto quanto i ragazzi che lo hanno picchiato a morte, questa affermazione ci riporta indietro di oltre settant’anni, a quel periodo nero della storia in cui vigeva il culto della superiorità della razza. Con una formazione del genere non ci si stupisce affatto che i quattro assassini siano cresciuti con il disprezzo per il diverso e senza il rispetto della vita umana.
Questa storia ha amareggiato tutti terribilmente. Ci ha rattristato pensare che nel 2020 nel nostro Paese possa ancora esistere una mentalità simile. Si ha quasi l’impressione di essere di fronte a una cultura dell’odio, alimentata dall’ignoranza, dall’insensibilità e probabilmente anche da certi personaggi della scena politica che non fanno altro che parlare degli stranieri come se fossero pacchi da spostare da una nazione all’altra e non esseri umani. D’altra parte però ci rincuora pensare al buon cuore del giovane Willy. L’aspirante cuoco di Colleferro era un ragazzo che non ha avuto timore di gettarsi in mezzo a un branco di lupi pur di salvare un amico, ma che poi ha pagato quel gesto a caro prezzo. Ha pagato a caro prezzo il suo altruismo, la sua bontà e quel colore della pelle che invece di essere visto come un valore aggiunto è stato visto come una colpa.
Grazie Willy, grazie per questa tua immensa lezione di vita.