LA BELLE ÉPOQUE, regia di Nicolas Bedos, Francia, 2019

di Francesco Monteleone

 Che filmazzo! Ancora una volta consumiamo più di 10 parole per ripetere la stessa cosa: il catalogo del cinema francese contemporaneo è di alta qualità, in ogni genere. Questa tenerissima opera fa venire il gusto di ritornare più spesso in sala, ma ci stimola al giudizio implacabile: i francesi fanno grandi film (o grandissimi) e noi siamo costretti a scopiazzarli. Gli italiani sono più bravi a trovare i soldi per fare i festival, in ogni città dove c’è un’amministrazione complice.

“La belle èpoque” fa un buon servizio a chi si è dato alla castità, agli accasati che vogliono separarsi, a chi ama l’amore idealizzato e a chi non vuole sposarsi perché pensa di essere meno libero, ai fortunati che hanno vissuto gli anni ’70, anni fantastici nei quali nei licei si studiava sul serio latino, storia, filosofia e non c’era questo demente ultra-specialismo scientifico, quando si faceva l’autostop senza rischiare lo stupro, ci si sballava con le canne e non con l’eroina e il sesso trasgressivo si scopriva facendo le orge, non le seghe su You Porn.

Nicolas Bedos, regista e sceneggiatore, ha dimostrato di essere un ottimo cineasta (si definisce così, chi assume un doppio incarico). Il bellissimo artista ha rimodulato in modo geniale due insopportabili patologie contemporanee: l’eclissi della giovinezza e la nausea della coppia. E chi entra depresso al cinema Splendor esce che vuol far pazzie, come quando aveva 20 anni ed era felice di essere infelice.

Il cast scelto da Bedos è stellare. Se vi lasciassero un minuto tra questi splendidi attori non sapreste con chi farvi il patetico selfie. Due donne che fanno girar la testa pure ai gesuiti in esercizio spirituale: Fanny Ardant (Marianne Drumond), ovvero la nobilfemmina di Godard che può rottamare un intero condominio di olgettine. Doria Tillier  (Margot),  la fidanzata del regista (beato lui), che quando mette il piede sull’acceleratore della recitazione sembra Ayrton Senna con le Ferrari: le lascia dietro tutte.

E poi godrete con Pierre Arditi e Giullaume Canet, che snocciolano bravura in ogni scena e Daniel Auteil, sempre scintillante di intelligenza recitativa; in 800 espressioni tutte azzeccate ne ha sbagliata solamente una, alla fine della storia, quando il regista gli ha detto di farci sognare un futuro gravido di speranze, dopo tante delusioni.

Concludendo: il soggetto del film è molto-molto originale. Potrebbe durare il doppio del tempo, facendo correre più forte il nostro cuore maturo che ha, purtroppo, due ruote forate.

All’uscita sentirete dire dagli spettatori, uomini e donne, che il film è ‘delicato, coinvolgente, sorprendente, commovente…che altro volete di più, di questi tempi?

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