di Giulio Loiacono
Ogni tanto mi ricapita di “spolverare i vecchi scaffali” pieni di cinematografia, nemmeno poi tanto risalente, e mi sono imbattuto in un film di Bellocchio sulla figura e la vita di Tommaso “ Masino” Buscetta, interpretato da Favino.
Beh, sulla bravura di Favino ci sono pochi dubbi: lui è davvero il nostro Stanislavsky, il Fregoli che può incarnare chiunque ma sempre con una qualità ed una credibilità vicina all’assoluto.
Parlare dei film di mafia è difficile perché si cade in una tentazione capitale: quella, vuoi o non vuoi, di simpatizzare col criminale.
Perché su una cosa Buscetta, nel film, è chiaro: è un delinquente, un assassino, “ un vero uomo d’onore”.
Se si pente, è perché la onorata società non è quella sua; non c’è-o almeno non solo-“il pentimento”, quello che dà lavacri morali, quello che offre salvezza. Non mi posso spingere a valutare le intenzioni profonde di quello che è stato un criminale efferato. Non mi compete e non mi interessa.
Masino non vuole salvarsi, vuol semplicemente buttare a mare la mafiata di Totò u’Curtu. Lui ha tradito trafficando in stupefacenti; lui ha ucciso donne e scannato bambini, torturato e mutilato, quasi per gioco, innocenti e parenti e parenti dei parenti “ sino alla ventesima generazione”; lui ha attaccato “ i giudici ed i carabinieri”; lui ha distrutto “ la reputazione” di Cosa Nostra, non della Mafia “ una invenzione dei giornalisti”, come dice don Masino.
Riina ha rovinato la “Cosa”che non era più di Masino e dei Bontade, dei capi di una volta ed alla domanda di Falcone:” ma lei, Buscetta, poteva diventare un Capo, ma perché non lo è stato?”. E di rimando: “Perché ad essere capi, si deve vivere rinchiusi. Prenda Riina, guadagna miliardi ma vive nascosto e non può goderseli, non può vivere. I capi non vivono!”
E Masino voleva vivere e morire nel suo letto. In qualche modo ce la ha fatta.
Avrò ceduto alla compassione del criminale? Spero di no. Ardentemente. Se lo ho fatto, perdonatemi. Sono pentito.