di Elisa Testa
La musica, le voci viaggiano nell’aria entrando silenziosamente nel cuore di tutti noi. Le arti emozionano ci fanno sentire vivi, loro sono libere nel vento e riescono a far suonare le corde dell’anima.
C’è un luogo dove trovarle, la loro dimora è il teatro.
Esso nasce come luogo per raccontare, per stupire la comunità, sito all’aperto e vicino al mare. Poi, con il passare del tempo diviene circoscritto da mura eleganti, dove la musica, il canto, l’oratoria, la pittura, il linguaggio della parola e del corpo diventano le protagoniste e noi, semplici uomini siamo spettatori della magnificenza.
Ogni città italiana ospita un teatro, a Castelfranco Veneto (provincia di Treviso) si innalza glorioso un esemplare unico nel suo genere: il Teatro Accademico.
Castelfranco Veneto, città medievale murata, visse un illuminismo fruttuoso, grazie alle numerose famiglie benestanti, riunitesi in una società accademica, che resero la città un centro di alto livello culturale. In un sito così illustre mancava un edificio adibito ad eventi e rassegne teatrali.
Nel XVIII secolo le ricche famiglie chiesero alla Serenissima, padrona della terraferma veneta, un pezzo di terreno per realizzare la culla della sapienza.
Il Teatro Accademico fungeva di giorno da accademia per i giovani studenti appassionati di conoscenza, la sera cambiava volto e diventava la casa di ogni esibizione artistica.
Nel 1746 venne chiamato l’architetto Francesco Maria Preti per realizzare la struttura. I lavori iniziarono nel 1754, durarono 26 anni, ad eccezione di facciata e atrio, ottocenteschi, opera di G. Meduna e A. Barea.
Un lungo lavoro, con molte difficoltà economiche, ma il desiderio di donare a Castelfranco una perla, dove poter viaggiare con la fantasia, era molto più forte di ogni problema.
È un gioiello, un elogio al bianco e dorato, un tripudio di cornucopie, volti e fiori: simbolo di abbondanza. Richiami all’architettura classica con le grandi colonne delle due logge. L’interno vede la platea con poltroncine verdi, due logge, due barcacce, tre ordini di palchetti. È un teatro all’italiana e presenta finestre. Di giorno da esse entrava la luce ad illuminare i giovani studiosi, giunta la sera esse venivano coperte da tende e le candele creavano l’atmosfera per gli spettatori pronti ad un opera lirica, un concerto, una commedia.
Le barcacce, rivolte verso il pubblico, non servivano agli artisti per suggerire, ma agli accademici.
La melodia degli strumenti o della voce si diffonde in ogni angolo, grazie alla regola della media armonica proporzionale, voluta dal Preti, studiando Vetruvio. Dietro al palco, da un apertura si accede al giardino, ancora oggi usato per manifestazioni. Natura e architettura convivono e si contagiano.
Il soffitto è affrescato da Sebastiano Santi, l’azzurro pastello si mescola alle nuvole dove siede l’Immortalità assisa tra Virtù e Gloria dispensatrice di allori. Li dona ai putti che tengono in mano cartigli, dove si possono leggere i nomi di personaggi importanti di Castelfranco. Un interno magico.
La facciata è imponente con i suoi mattoni rossi, le colonne e i medaglioni capaci di evocare la gioia del teatro.
L’Accademico ha avuto nella sua storia tante trasformazioni, fu determinante nell’unificazione d’Italia, nella seconda guerra mondiale divenne carcere, poi sala da ballo e infine biblioteca comunale. Nel 1970 venne venduto al comune per 101 lire. Oggi, è la residenza della musica, del ballo, dell’arte figurativa, della commedia. Qui l’anima trova pace.
Il Teatro Accademico è memoria tangibile del desiderio umano di rendere la vita un capolavoro, assaporando ogni momento, ricordando che la cultura sotto ogni veste è libertà.