IL PURGATORIO DANTESCO COME (IMMENSA) AULA TEMATICA ATTREZZATA

di Trifone Gargano 

1. Un’idea di avanguardia educativa: le aule tematiche
Aule tematiche, o Aule laboratorio disciplinari, o Aule attrezzate, e simili ulteriori espressioni, tutte finalizzate a indicare un’esigenza emersa negli ultimi anni, nella scuola italiana, e non più eludibile: quella cioè di dar vita ad ambienti e, soprattutto, a condizioni per un Insegnamento / Apprendimento che favoriscano una didattica attiva e di tipo laboratoriale (e quindi un ruolo non più passivo dell’alunno). Dunque, l’alunno attore (co-attore), e non più spettatore del proprio percorso di apprendimento. In quest’ottica, allora, la tradizionale configurazione dell’ambiente aula appare obsoleta, e non più funzionale alla realizzazione delle attese dei traguardi formativi. Di qui, l’esigenza di riprogettare anche lo spazio aula, con un allestimento funzionale alle specificità della singola disciplina insegnata (e appresa), in quel determinato spazio fisico. Il docente è colui che permane in tale spazio attrezzato (l’Aula laboratorio disciplinare), e gli studenti invece girano, tra un ambiente attrezzato e l’altro. In questo modo, docente e studenti dispongono di ambienti non più indifferenziati (come avveniva con la tradizionale aula della classe, da condividere, di ora in ora, con tutti gli altri docenti curriculari), ma di ambienti pensati e realizzati con un setting funzionale a una didattica disciplinare attiva, di tipo laboratoriale.

Tutto ciò spinge verso l’assunzione di nuovi stili d’I/A, che impegnano sia il docente che lo studente. Non mi stancherò di sottolineare, però, che i cambiamenti riguardano l’intera vita di una comunità scolastica, in tutti i suoi aspetti, e che coinvolgono tutti gli attori di questa comunità: dal Dirigente Scolastico, all’intero Collegio Docenti, alle famiglie, al personale ATA, al Direttore dei Servizi Amministrativi. Questa nuova organizzazione della vita scolastica comporta, necessariamente, l’assunzione di stili nuovi, in nome di una didattica attiva. L’Aula tematica attrezzata viene pensata e agita come uno spazio fisico all’interno del quale sperimentare e sviluppare competenze (non più semplici conoscenze). Al suo interno, il docente progetta uno spazio funzionale alle attività che lui stesso ha programmato; individua quindi pure le attrezzature necessarie per mettere in atto il processo di I/A. Tutto ciò, nell’ottica di superare la dicotomia tradizionale tra lezione teorica e lezione laboratoriale, avvicinando conoscenze (la lezione teorica) e competenze (la lezione laboratoriale), senza metterle in contrapposizione, ma integrandole. La metodologia di I/A che viene assunta è, dunque, di tipo attiva, grazie all’interazione tra gli studenti e il docente, e grazie all’utilizzo di strumentazione e di sussidi didattici appropriati (pensati dal Docente in maniera specifica e funzionale all’acquisizione di quella determinata competenza per la vita), comprese le tecnologie digitali (l’informatica umanistica). Questo stile di I/A facilita il confronto (senza competizione) tra gli studenti, e rende possibile la effettiva sperimentazione di esperienze di studio e di ricercazione vicine alle dinamiche reali, quelle del mondo del lavoro, prefigurando specifiche future realtà d’ambito professionale. Dunque, sviluppo e acquisizione di competenze per la vita, sia professionale che no. Lo studente come piccolo ricercatore, all’interno di una comunità (di apprendimento).
Un ruolo nuovo viene, dunque, svolto dall’ambiente di I/A. Al suo interno, docente e studente osservano, agiscono, riflettono (sul loro stesso agire), si confrontano, esaminano le diverse ipotesi di soluzione al problema, collaborano. Conoscenza co-costruita, grazie all’ambiente di apprendimento e grazie, anche, alla inedita interazione che si realizza in esso tra pari e con il docente.

2. Il setting
Fondamentale risulta, dunque, per questo tipo di metodologica didattica, la definizione, la progettazione e la realizzazione del setting, cioè, dell’ambiente di un’Aula tematica. Esso è, al tempo stesso, ambiente fisico e relazionale. Un ambiente all’interno del quale i diversi attori devono interagire, rispettando ben precise (e condivise) regole.
Dunque:
– organizzazione dello spazio fisico (compresi gli oggetti del decoro)
o del docente
o della creazione
o della riflessione critica
o del confronto (anche sui metodi)
o della valutazione
o …
– definizione (scansione) dei tempi
– condivisione degli stili della comunicazione (all’interno di tale ambiente di I/A)
– scelta degli oggetti simbolici della disciplina
– …
Il setting tecnologico, occorre ribadirlo, dev’essere pensato come un ambiente centrato sull’alunno, capace di favorire il lavoro collaborativo e cooperativo, e, anche, tale da abituare all’idea di un lavoro che si sviluppi in tempi e in ambienti differenti (non chiusi).

3 Il Purgatorio dantesco come (immensa) aula tematica attrezzata
Il Purgatorio dantesco, in questa prospettiva metodologico-didattica dell’Aula tematica (in quanto ambiente attrezzato), può essere letto come una grande metafora letteraria delle odierne aule tematiche. Non l’Inferno, che pur è tematizzato (di zona in zona, di cerchio in cerchio), per la semplice ragione che i dannati, com’è noto, sono fissi, bloccati per l’eternità, nel loro rispettivo cerchio di destinazione (a seconda della colpa che li ha caratterizzati in vita). Analoga situazione di fissità si registra nel Paradiso. I beati, infatti, sono tutti nella candida rosa, e contemplano Dio, per l’eternità. Dante, infatti, li distribuisce di cielo in cielo (e li incontra, a seconda del cielo e della santità relativa a quel cielo) per ragioni narrative (per distribuire, cioè, la materia narrativa della terza cantica del poema, nei complessivi 33 canti); ma i beati non si spostano; stanno lì, nella candida rosa, a contemplare Dio per l’eternità.
Dei tre regni dell’aldilà dantesco, dunque, è il Purgatorio quello che si presta benissimo per una metafora delle odierne aule tematiche, le aule laboratorio disciplinari, in quanto ambiente attrezzato. Le anime dei purganti, infatti, sono in continuo cammino (come accade, oggi, per gli studenti); essi si spostano di zona in zona (dopo un certo numero di anni, o di secoli, di permanenza in una determinata cornice), direi che si spostano di ambiente attrezzato in ambiente attrezzato (superbi, invidiosi, iracondi, ecc.), di aula in aula, finché non acquisiscono le giuste competenze per proseguire il viaggio verso l’alto. Ciascun girone, ciascuna cornice purgatoriale, dunque, è un ambiente di apprendimento per le anime, ma anche per lo stesso Dante, che, infatti, sosta in quel determinato ambiente giusto il tempo di interagire (anche dialogicamente) con chi vi si trova, di acquisire anch’egli le necessarie competenze per proseguire il suo viaggio salvifico (apprenditivo). Dante, di zona in zona, dialoga con le anime che incontra, osserva attentamente l’ambiente organizzato, che caratterizza quel determinato girone, e, quindi, compie egli stesso il cammino di apprendimento.

In maniera un po’ più diffusa, fornisco, adesso, l’esempio dei Superbi, nei canti X, XI e XII del Purgatorio, come esempio di Aula tematica, o ambiente attrezzato, sottolineando, in modo particolare, il setting che il docente (in questo caso, Dante autore) ha predisposto per i suoi allievi (cioè, per le anime dei purganti che si trovano in quella cornice-aula, e per lo stesso Dante viaggiatore). Una volta superata la porta d’ingresso del Purgatorio, infatti, ricevute le sette P sulla fronte, da parte dell’Angelo custode, Dante viaggiatore si trova nel primo ambiente attrezzato purgatoriale (le zone precedenti, nei cc. I-IX, egli ha incontrato, lungo la spiaggia dell’isola del Purgatorio, gli spiriti negligenti, in una sorta di anti-Purgatorio).
I canti X-XI-XII del Purgatorio, dunque, costituiscono un trittico (come tanti altri del poema dantesco) tutto centrato sul primo (e più importante) dei sette vizi capitali, quello della superbia. L’organizzazione dei tre canti è perfettamente speculare: nel canto XI, che è centrale, rispetto agli altri due, Dante incontra e dialoga con alcune anime; nel canto X e nel canto XII, ai due lati dell’XI, Dante inserisce sia meditazioni e riflessioni di carattere morale sul vizio della superbia e sulla virtù opposta, dell’umiltà, sia alcuni esempi di superbia punita e di umiltà premiata sotto forma di sculture, di immagini parlanti (coniando l’inedita e potentissima espressione «visibile parlare», c. X, v. 95, per queste sculture che sembrano avere il dono della parola).
Ecco, dunque, canto per canto, il setting di questa aula disciplinare ante litteram, predisposta dal docente, Dante autore, per creare le migliori condizioni ambientali di apprendimento (e di insegnamento) per i suoi studenti.
Canto X:
– aspra salita sulla roccia («l’alta ripa», 23)
– larga spianata deserta («un piano / solingo», 20-1)
– riquadri istoriati (cioè, scolpiti, probabilmente, ad altorilievo), lungo la parete rocciosa («intagli» di «marmo candido», 32 e 31), che ricordavano, nel loro stile, la nuova arte scultorea italiana, che s’imponeva al tempo di Dante (le sculture di Nicola e Giovanni Pisano, tanto per intenderci)
– le sculture sembrano vere, e danno l’idea a chi le ammiri che parlino (vista e udito, dunque, vengono attivati da Dante – e da chiunque altro ammiri queste sculture – sì che la parola di Dante, qui, si fa parola multi-codale, capace, cioè, di attivare più sensi della percezione): «dinanzi a noi pareva sì verace» (37)
– le sculture, probabilmente formelle o riquadri, producono l’effetto di quello che Dante chiama il «visibile parlare» (95): le figure rappresentate in queste scene hanno non solo forza (e vita) plastica, ma anche voce, parola (sotto gli occhi e le orecchie dello spettatore, infatti, si compie il miracolo di assistere a scene reali e vive, pur dentro la virtualità letteraria): «Giurato si saria ch’el dicesse “Ave!”» (40)
– tre esempi storici di umiltà premiata (la virtù opposta al vizio capitale della superbia), scelti non a caso (come pur avviene, oggi, per il setting delle aule tematiche attrezzate); dunque, un setting appropriato quello dantesco: 1. la scena dell’Annunciazione (con la sublime umiltà di Maria); scena molto disadorna ed essenziale (in linea con il testo evangelico cui Dante si ispira), con la visibile percezione di due sole parole: l’Ave, pronunciata dall’Angelo; e la risposta Ecce ancilla Dei, pronunciata da Maria; 2. la scena di Davide danzante (l’umile salmista, 65), abbassando così, nell’atto di danzare, la sua (alta) dignità sacerdotale e regale, rendendo omaggio a Dio; in questa scena, per via del fumo dell’incenso, i due organi di senso che entrano in competizione sono l’olfatto – naso – e la vista – occhi – (vv. 61-3); 3. l’episodio, più articolato e complesso, rispetto ai due precedenti, dell’imperatore Traiano, che ferma l’esercito per dare ascolto alla supplica di una vedovella, e per renderle giustizia: «la miserella […] / pareva dicer: “Segnor, fammi vendetta / di mio figliol ch’è morto» (82-4)
– il setting delle tre scene prevede una crescita progressiva di complessità (artistica): dall’essenzialità della prima, fino alla complessità dell’ultima, con il dettaglio curatissimo del fondale (l’esercito che si ferma, i cavalli, i cavalieri, le bandiere, ecc.)
– l’arrivo lento della schiera delle anime purganti («molte genti», che procedono con «passi radi», 101 e 100), schiacciate dai massi che portano sulle spalle, e, quindi, costrette a tenere il capo chino, e a guardare la terra, la roccia, che calpestano (con evidente contrappasso, per via della colpa di cui si macchiarono in vita, tenendo, a quel tempo, il capo altezzosamente rivolto verso l’alto); Dante stenta perfino a riconoscerli come persone («non mi sembian persone», 113)
– l’apostrofe dolente, in forma di ammonimento, contro la superbia e la cecità degli uomini chiude il canto: ultimo, importante, dettaglio (materiale) di questo ingegnoso setting predisposto da Dante autore: «O superbi cristian, miseri lassi, / che, de la vista de la mente infermi» (121-22).

Canto XI:
– posizione centrale, tra i tre canti dedicati alla superbia, nel quale lo studente Dante incontra le anime dei purganti e interloquisce con loro
– primo materiale di questo setting, comunque, è rappresentato dalla preghiera del Padre nostro, che Dante autore (il docente di quest’aula tematica) colloca in apertura di canto, senza alcun preambolo, in modo solenne
– preghiera corale, che procede lentamente, quasi una salmodia, come il loro stesso procedere, sotto il peso della roccia, è un procedere lento (e questo è il secondo elemento del setting: coralità della preghiera; metafora della coralità dell’azione didattica); il testo di questo Padre nostro, comunque, è molto particolare, perché non si limita a riportare solo la preghiera (come in Matteo, 6, 9 e sgg), ma intervalla al testo anche brevi commenti e meditazioni morali
– necessità dell’intervento divino, per raggiungere la salvezza (ulteriore elemento/materiale del setting): nessuno si salva da solo («ché noi […] non potem da noi», 8); la preghiera, con il suo andamento musicale lento, è a suffragio di tutti, morti e vivi («a sé e noi», 25)
– incontro con tre anime, figure, rispettivamente, di tre tipologie di superbia (quella nobiliare; quella artistica e quella politica), nelle quali, specie la seconda, Dante viaggiatore si sente direttamente coinvolto; setting che intende dimostrare quanto la fama terrena sia «fiato / di vento», 100-01; con la conseguente riflessione morale: «Oh vana gloria de l’umane posse!» (91)
– 1. Umberto Aldobrandeschi, nobile ghibellino, tipico esempio dell’orgoglio gentilizio (nel suo pur breve intervento, il pronome personale io viene ossessivamente, e orgogliosamente, ripetuto, a significare, al tempo stesso, sia la contrizione attuale, che un involontario residuo di peccato di superbia)
– 2. Oderisi da Gubbio, miniaturista di grido, che riconosce Dante e ne attira l’attenzione, in un clima che si rivela subito come amichevole; egli si crede il migliore, tra i miniaturisti italiani ed europei del tempo; Oderisi sviluppa il suo discorso intorno al concetto che la fama, la gloria umana è vana; e, quasi come a voler incastonare un setting di secondo livello, all’interno di quello principale (con i tre personaggi messi in scena), Oderisi porta a dimostrazione delle sue affermazioni sulla vanità della gloria terrena, tre rispettive coppie di artisti: due miniatori (sé stesso e Franco da Bologna); due pittori (Cimabue e Giotto); due poeti (Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti); in tutte e tre le coppie, nelle parole di Oderisi, si assiste al veloce passaggio della fama dall’uno all’altro (nel caso della coppia di poeti Guinizelli-Cavalcanti, si lascia intendere che questa girandola vorticosa della gloria non si è arrestata, giacché sarebbe già sorto un “terzo”, pronto a scalzare i “due Guidi” nel primato della lingua, alludendo a sé stesso, ovviamente): «Così ha tolto l’uno a l’altro Guido / la gloria de la lingua; e forse è nato / chi l’uno e l’altro caccerà del nido» (97-9); setting nel setting, dunque; ne emerge, complessivamente, un interessante quadro critico della civiltà artistica del tempo (indubbiamente un materiale didattico sul quale riflettere, che il docente Dante autore ha saputo costruire, proprio in quanto setting appropriato)
– 3. Provenzan Salvani, senese, capo dei ghibellini, un tempo famosissimo, per la vittoria conseguita nel 1260 su Firenze, a Montaperti, e, oggi, invece, sconosciuto ai più, nella sua stessa Siena («e ora a pena in Siena sen pispiglia», 111).

Canto XII:
– le anime dei superbi, come ho già precisato, camminano ripiegati su sé stessi, per via del masso che trasportano sulla schiena, e, quindi, sono costretti a guardare le scene di superbia punita, istoriate sul pavimento, che calpestano, nel loro lento e faticoso andare (in questo ambiente di apprendimento, alla maniera delle moderne Aule tematiche attrezzate, sono le anime dei purganti a girare in tondo, così come fanno, oggi, gli studenti, che si portano da un ambiente di apprendimento tematizzato a un altro)
– nella seconda parte del canto XII, appare l’Angelo dell’umiltà (virtù opposta al vizio della superbia), la «creatura bella» (v. 88)
– infine, le anime di questa prima cornice purgatoriale, che intonano «Beati pauperes spiritu» (v. 110), in lode dell’umiltà
– Dante stesso, che procede con il capo chino, proprio come le anime della cornice, sia per tentare di guardare in faccia le anime con le quali sta interagendo, sia per dar prova della sua personale contrizione ed espiazione, guarda attentamente le scene istoriate sul pavimento, con gli esempi di superbia punita (setting tematizzato, dunque, pure per lui, per il Dante viaggiatore e studente)
– alla fine di questo canto (che è anche la fine dell’intera cornice dedicata al vizio capitale della superbia), Dante viaggiatore affronta un “esame”, e cioè un accertamento dell’avvenuto possesso, da parte sua, della competenza dell’umiltà; egli, infatti, supera l’esame; dopodiché, un leggero tocco dell’Angelo gli cancella dalla fronte una delle sette P che reca impresse
– gli esempi di superbia punita sono inseriti, ciascuno, nello spazio metrico di una terzina (a differenza dei quadretti dell’umiltà premiata, nel canto X, che si distendevano liberamente, anche in più di una terzina): un setting molto stringato ed essenziale, questo, con i materiali pensati dal docente e offerti agli studenti in modo sobrio, capaci cioè di cogliere attraverso un singolo gesto, un piccolo dettaglio, uno solo sguardo del protagonista di turno tutta la sua tragedia (in una posa, però, che non è mai statica e bloccata, ma dinamica, in movimento, come se si stesse ancora compiendo, cioè, sotto gli occhi del Dante viaggiatore e studente); qui la parola dantesca supera, in essenzialità e stringatezza, anche l’arte figurativa
– galleria – setting dei 13 esempi di superbia punita (da notare l’alternanza rigorosa tra esempi biblici, e corrispettivi pagani):
o Lucifero (sospeso tra cielo e terra), primo superbo della storia
o Briareo, corrispettivo di Lucifero per la mitologia pagana, che si ribellò a Giove, e che da questi fu folgorato
o Apollo (Timbreo), Minerva (Pallade) e Marte che contemplano, ancora increduli, i Giganti che hanno appena sconfitto
o Nembròt, il costruttore della Torre di Babele
o Niobe, moglie di Anfione, re di Tebe, che, divenuta superba per il troppo potere, sfida gli dei (e Latona, madre di Apollo e di Diana, la punisce facendole uccidere i figli)
o Saul, primo re del popolo di Israele, divenne superbo fino a muovere la collera divina; sconfitto in battaglia, si uccise da solo, lasciandosi cadere sulla propria spada
o Aracne, la tessitrice che sfidò Minerva (e che s’impiccò)
o Roboano, superbo, figlio e successore di re Salomone, che fu costretto a una ignominiosa fuga
o Erifile, esempio di superbia perché invidiosa di una dea
o Sennacherib, re di Assiria, superbo per aver irriso la fede di Ezechia nel Dio di Israele
o Tamiri, regina degli Sciti, che tagliò la testa a Ciro, re dei Persiani (materiale didattico, questo, non attinto dalla mitologia pagana, come nella serie alternata precedente, ma dalle Storie di Orosio)
o Oloferne, superbo generale degli Assiri, sconfitto e decapitato dall’eroina biblica Giuditta
o Troia, città superba, e distrutta (ultimo materiale di questa rassegna – o setting)
– un setting piuttosto complesso, ma coerente, quello appena esposto, con i 13 esempi di superbia punita, attinti rispettivamente dalla tradizione biblica e da quella greco-pagana: i primi quattro esempi, potrebbero essere raccolti sotto la denominazione di «ribelli alla divinità»; il secondo gruppo di quattro esempi, potrebbe essere denominato della «vanagloria»; il terzo gruppo, infine, della «cupidigia»; isolato, volutamente isolato, resta l’esempio conclusivo di questa galleria-setting, riguardante la città di Troia («superbo Ilion», If, 74), che funge da ricapitolazione, e che, forse, allude a un’altra città superba, e cioè a Firenze
– tutti e 13 gli esempi di superbia punita, nella misura stringata della terzina, danno l’idea (e l’esemplificazione concreta) di una scrittura evocativa, veloce e potente, al pari di un odierno tweet (ben scritto)
– setting è pure l’intervento discreto (tipico dell’odierno docente allenatore) di Virgilio, che leggiamo ai vv.77-84, finalizzato a rimettere in careggiata l’allievo Dante, per proseguire il cammino: «Drizza la testa; / non è più tempo di gir sì sospeso […]»
– arrivo della «creatura bella» (l’angelo dell’umiltà); canto corale della beatitudine, intonato dalle anime; cancellazione della prima delle sette P dalla fronte di Dante: siamo in chiusura di episodio, e questi tre eventi di chiusura (del trittico X-XI-XII dedicato alla superbia), in quanto setting, hanno evidente valore di “esame” (di accertamento dell’avvenuta acquisizione della necessaria competenza dell’umiltà); l’angelo, quindi, in qualità di esaminatore, cancella la P dalla fronte di Dante
– valore di setting ha pure la musica / il canto corale (Beati pauperes spiritu: Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli, in Matteo, 5,3; secondo la tradizione esegetica cristiana, i “poveri di spirito” erano, appunto, gli umili, virtù opposta alla superbia, e quindi premiata), collocato all’uscita di un ambiente di insegnamento / apprendimento attrezzato (quello dei superbi), e all’ingresso di un nuovo ambiente di insegnamento / apprendimento attrezzato (quello degli invidiosi)
– Dante autore, il docente che ha predisposto tutti questi materiali – setting, sottolinea la differenza tra i lamenti infernali (solitari), e questo canto corale: «Ahi quanto son diverse quelle foci / da l’infernali! ché quivi per canti / s’entra, e la giù per lamenti feroci» (vv. 112-13)
– infine, il sorriso compiaciuto di Virgilio, il maestro Virgilio, dinanzi al gesto ingenuo dell’allievo Dante, che, con stupore, si accerta dell’avvenuta cancellazione della P, tastandosi la fronte con le dita della mano.

Il setting, lo ribadisco, è stato pensato da Dante autore, in veste di docente, esattamente come un ambiente attrezzato di I/A centrato sull’alunno (le anime dei purganti e lo stesso Dante viaggiatore), capace, cioè, di favorire il lavoro collaborativo e cooperativo. Nel Purgatorio, infatti, una delle cose che Dante viaggiatore nota subito, di profondamente diverso rispetto all’Inferno appena attraversato, è proprio la coralità, che caratterizza queste anime salve: esse infatti vanno assieme, si spostano, e, sempre assieme, all’uscita dal girone, intonano il canto della beatitudine corrispondente – in questo caso, la beatitudine dell’umiltà, virtù opposta al vizio capitale della superbia -; non così nell’Inferno, dove, invece, prevalgono le figure solitarie, i lamenti e le grida disperate di ogni singolo dannato, al posto del canto corale; di questa differenza Dante ha piena consapevolezza, tanto è vero che la sottolinea: «quivi per canti / s’entra, e là giù per lamenti feroci», Pg., XII, 113-14). Inoltre, il setting viene opportunamente predisposto, da parte del docente, per abituare gli studenti all’idea di un lavoro che si sviluppi in tempi e in ambienti differenti (non chiusi, come invece avviene, lo ripeto, sia nell’Inferno, che nel Paradiso).
Alla luce di questo esempio dantesco, appaiono vieppiù pertinenti, dunque, le riflessioni che ho sviluppato nel paragrafo precedente, sull’importanza del setting per l’Aula tematica attrezzata, che, qui, ho riproposto dall’interno di un esempio dantesco purgatoriale. La metodologia di I/A che viene assunta, in un’Aula tematica disciplinare attrezzata, è, dunque, di tipo attiva, grazie all’interazione tra gli studenti e il docente, e grazie all’utilizzo di strumentazione, di sussidi e di materiali didattici appropriati (pensati dal Docente in maniera specifica e funzionale all’acquisizione di quella determinata competenza). Questo stile di I/A facilita il confronto (senza competizione) tra gli studenti (in questi canti purgatoriali, infatti, tutto, ma proprio tutto, concorre al superamento della superbia, dell’arrivismo, del mito del successo personale: mi limito a ricordare quello che viene detto nel canto XI sulla vanità della fama, della gloria terrena, sia essa quella gentilizia e nobiliare; ovvero, quella artistica; infine, la gloria, la fama che deriverebbe dalla politica: tutto passa, inesorabilmente).
Questa metodologia di I/A rende possibile la effettiva sperimentazione di esperienze di studio e di ricercazione vicine alle dinamiche reali, quelle del mondo del lavoro, prefigurando specifiche future realtà d’ambito professionale. Quest’ultimo aspetto, sulla sperimentazione di esperienze vicine al vero, più volte il Dante viaggiatore, cioè, lo studente, ha sentito direttamente e personalmente, come ho sottolineato (rinvio alla questione dei «due Guidi», e della fama poetica che già sarebbe andata oltre Guinizelli e Cavalcanti, per giungere, proprio a lui! Anche questo, però, come segno di una vacuità generale e inarrestabile delle cose umane, che dovrebbe spingere Dante e ciascuno di noi ad assumere atteggiamenti e comportamenti di serena umiltà, e non, piuttosto, di superbia).

Una volta acquisite le necessarie competenze, lo studente Dante, il viaggiatore, procede lungo il suo cammino (apprenditivo). Alla stessa maniera, in una scuola organizzata per aule tematiche (per ambienti di apprendimento), come ho già chiarito, i ragazzi si spostano, di ora in ora, di modulo formativo in modulo formativo, da un ambiente attrezzato all’altro, e non il docente, per procedere con il proprio viaggio apprenditivo.
Lo stesso Virgilio, il maestro, che nei canti X-XI-XII purgatoriali si limita a fare l’allenatore, il docente che osserva e che orienta, di tanto in tanto, l’agire dello studente (Dante viaggiatore), senza mai assumere un ruolo predittivo o dogmatico, fino alla bellissima immagine del sorriso compiaciuto conclusivo, allorquando Dante si tocca la fronte per verificare che, effettivamente, la prima delle sette P impressegli dall’angelo custode sia svanita dalla sua fronte (segno e metafora dell’avvenuta acquisizione della relativa competenza dell’umiltà), ebbene, quel Virgilio maestro, a un certo punto del Purgatorio, com’è noto a tutti, lascerà Dante al suo cammino, giudicandolo, oramai, capace di procedere autonomamente: «Non aspettar mio dir più né mio cenno; / libero, dritto e sano è tuo arbitrio» (Pg. XXVII, 139-140). Si vedano pure, per questo aspetto del rapporto tra maestro e discepolo (e per la magia che si crea nel rapporto di insegnamento / apprendimento, ancora oggi), i teneri versi 43-54 del canto XXX, sempre del Purgatorio.

Il gioco che qui ho proposto, di vedere cioè nei canti X-XI-XII del Purgatorio dantesco una prefigurazione letteraria delle odierne aule tematiche attrezzate di I/A potrebbe essere esteso, come inedita (e intrigante) modalità di lettura dei Classici, sia ad altri canti del poema dantesco; sia, soprattutto, a tante altre opere della nostra tradizione letteraria. Così operando, sono sicuro che proporremmo agli studenti una curiosa metodologia di lettura dei testi d’Autore, legata però alla vita esperienziale (dell’Autore, e del Lettore). Prefigurazione letteraria di una competenza per la vita, dunque, che agganci (o che tenti di farlo) la ricerca di senso, piuttosto che replicare (e imporre) in maniera fredda e sterile un canone di letture non più significativo, perché non più coinvolgente.

* Testo tratto, con leggere modifiche, dal libro di Trifone Gargano, Avanguardie educative e Didattiche della letteratura, Edizioni del Rosone, Foggia 2019 (in corso di stampa).

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