IL PICCOLO E GRANDE ROB, L’UOMO CHE HA COMMOSSO L’AMERICA

di Giulio Loiacono

Lo sport sa regalare storie meravigliose, di prodezze e meraviglie, di riscatto e di passione.

Con la passione e verso la passione – e la propria vittoria, qualunque essa sia – si richiede allo sportivo il sacrificio ed il dolore dell’allenamento senza fiato, senza posa. Ma quando sei tu ad allenare gli altri, i giovani, ad alimentare i loro sogni, le loro speranze, a raggiungere i loro traguardi e a rinfocolarne le aspirazioni e le ambizioni, ebbene la missione è davvero difficoltosa. 

E se l’allenatore nasce senza braccia e senza gambe e le due cose integre che ti sono state lasciate dal Dio Creatore o dal Destino – che è quasi sempre gramo e baro – sono il cervello e la bocca, beh, allora si entra nel mito e questo mito va narrato.

Questo mito ha un nome, Rob Mendes, il suo luogo di vita e missione è una scuola delle Hawaii e la sua ragione di vita è trasmettere il football americano ed i suoi segreti ai suoi giovani. Questi ragazzi lo amano alla follia. Egli li ripaga ordinando loro cosa fare con le perentorie cifre e codici che corrispondono agli schemi di questo giuoco, per chi scrive arcano e noiosissimo, ma che deciderò di guardare con affetto in nome di lui. La sua vita è un continuo dispensare consigli e schemi che febbrilmente annota su di un phablet con la sua penna capacitiva mulinata dalla sua ansante bocca. Per muoversi usa una sedia a rotelle elettrica, che sapientemente direziona con un moto ritmico di entrambe le spalle.

Beh, questo gigante non poteva sfuggire alla gloria dello sport-starsystem americano, che lo ha voluto insignire dello ESPY Award 2019, uno dei premi più ambiti dello sport organizzato dalla catena televisiva tematica ESPN. Ha infiammato la platea adorante con alcune frasi, con cui si concreta lo spirito audace statunitense: “Voglio ringraziare lo sport del football per aver permesso ad uno come me di essere parte di una squadra”. Ed ancora, quasi arringando la folla piena di sportivi iperprofessionisti dai bilanci equivalenti a mini stati sovrani: “Non ho ancora finito il mio lavoro. Sono arrivato sino a questo punto. Chi mi dice che non potrò andare più lontano? Chi dice che non posso farcela? Nessuno!”.

Ricordate queste parole quando, con spregio intellettuale, rifiutate che lo sport non possa esprimere valori, quando considerate lo sport come un sotto prodotto culturale e privo di significati e di messaggi. Siete invitati a vergognarvi. Fatelo sempre con dignità. Quella dignità di Rob Mendes. 

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