di Giacomo Losavio, neurologo e neurofisiologo clinico
Come ogni mattina, una volta arrivato sul mio posto di lavoro, scendo dalla bicicletta e percorro il corridoio trasportando la bicicletta. Accade spesso che ci siano già i pazienti ad attendermi e io con passo spedito mi faccio largo tra gli sguardi, alcuni stupiti altri compiaciuti dal fatto che il dottore che li dovrebbe visitare avesse più l’aspetto più di un rider che di un medico affermato. Un giorno, tra i tanti ho incrociato lo sguardo smarrito e dismesso di un signore di mezza età che era in piedi appoggiato al muro in un angolo della sala d’attesa. Lo sguardo si faceva largo tra un ciuffo di capelli rossi e un abbigliamento trasandato, quasi da mimetizzarsi con il colore delle pareti. Appena parcheggiata la bicicletta nel solito deposito sono entrato in ambulatorio carico di energie e distribuendo buoni propositi ai miei collaboratori. L’inverno ormai si faceva largo soffiando con un vento irritante e dispettoso tra un mucchio di nuvole grigie e dense e si divertiva a scompigliare i referti e appoggiati sulla mia scrivania. “Greta per favore chiudi la porta” – esclamai entrando. Indossato il camice, mi sono seduto come al solito nella mia postazione di lavoro dando uno sguardo rapido al programma delle visite. – Greta, Antonella, oggi ci sono troppe visite, volete che mi ammali anch’io? – Dottore abbiamo molte richieste come al solito non sapremmo come fare”. – “Va bene! iniziate a chiamare la prima visita in elenco”. Dopo qualche secondo, intravidi sulla soglia proprio quel signore che aveva destato la mia attenzione quella mattina. Era un uomo di media statura e di corporatura robusta, stempiato con i capelli bianchi e radi la carnagione scura e un tatuaggio tantra sul collo. Appena varcata la soglia con aria apparentemente disorientata e con un velo di voce farfugliò un “buongiorno” di cortesia e si sedette dall’altra parte della scrivania. Prima di iniziare la visita lo guardai per alcuni secondi e mi sembrò che mi stesse aspettando con ansia come se mi dovesse comunicare qualcosa di importante. Ormai dopo tanti anni mi i basta osservare lo sguardo di un paziente per capire come si deve porre nei miei riguardi: se si deve porre in maniera polemica , se deve creare scompiglio o se deve esternare la propria disperazione . In questo caso mi è sembrato inizialmente molto arrabbiato ma al tempo stesso in cerca di qualcuno che almeno lo potesse ascoltare e capire Aveva uno di quelli sguardi che oramai in tutti questi anno ho imparato a riconoscere , lo sguardo triste di chi alla vita non ha più la forza di chiedere nulla . – Come sta? – Ruppi il giaccio con aria professionale e decisa prima di iniziare l’anamnesi clinica. Lui mi ha guardato un secondo prima di parlare e poi aggiunse: che bello sentire qualcuno che mi chiede come mi sento e come sto, mai nessuno nella vita mi ha chiesto come stessi . Tutti hanno dato per scontato che fossi forte e sempre felice. Eppure …Mi chiamo Antonio D sono nato nel il sei giugno del 1960 – rispose con tono tentennante ed insicuro e chiaro accento del borgo antico. Sono venuto da lei perché sono molti mesi che non riesco più a dormire- . Durante la notte sento dei lampi che mi prendono la testa e poi mi sale la paura.- Hai altre malattie? prendi dei farmaci? aggiunsi dandogli del tu per metterlo ulteriormente a suo agio. Mi ha risposto che aveva subito un infarto e vari incidenti stradali dove si era procurato varie fratture –Poi ha aggiunto che un proiettile dieci anni prima gli aveva perforato l’addome e per un miracolo non era morto dissanguato . Ma che lavoro fai? A questa domanda rispose con tono imbarazzato poiché non lavorava più ormai da molti anni e che viveva da solo in un piccolo sottano della città vecchia con l’anziana madre. Prima vivevo al quartiere poi mia moglie è morta di tumore dieci anni fa, ma è stata colpa del crepacuore – silenzio lungo per la morte dei nostri figli tutti e due belli come il sole .- Poi con il capo chino e con un filo di voce proseguì- uno è morto per overdose, l’altro è stato ucciso durante un conflitto a fuoco con la polizia .- In quel momento capii che il dolore a prescindere dalla sua condotta di vita avesse la stessa forma e sostanza di quello che provano le persone comuni e che conducono vite apparentemente più normali. Poi continuò a parlare della sua vita, sembrava che stesse parlando ad un amico. Mi ha spiegato che apparteneva ad un clan importante della città vecchia e nessuno di noi può immaginare come vivessero anche se leggessero tutti i libri di Saviano o se vedessero tutte le puntate di Gomorra (tutto in sleng locale , l’ho compreso con una certa fatica). Poi mi ha confidato con voce rotta dall’emozione che la sua era una famiglia dominante nel Borgo antico, venti anni fa erano potenti e comandavano loro ma poi per un’infame traditore e dopo una guerra tra clan per il dominio territoriale dello spaccio e delle estorsioni era stata praticamente sterminata. Il padre due fratelli un cugino erano tutti morti ammazzati in conflitti a fuoco o in attentati . “ “D’accordo”- esclamai interrompendo la narrazione che stava diventando ingestibile e difficilmente sostenibile emotivamente ,“ora ti devo visitare, togliti la giacca e stenditi sul lettino” – aggiunsi usando un tono più confidenziale e rasserenante. Mentre lo visitavo mi accorsi che quattro dita della mano destra erano state amputate dalle falangi in su . Quell’arto praticamente terminava con un moncone tondeggiante alla Capitan uncino.- , “Invece qui che ti è successo ? Sempre conflitto a fuoco?” gli chiesi –“ No, sono quelle scemitudini che si fanno da ragazzi , quando a capodanno si preparano i botti da far scoppiare , forse uno aveva la miccia troppo corta…” . “Va bene Antonio ora puoi scendere dal lettino , abbiamo terminato la visita Ti prescriverò degli esami e una terapia da seguire , magari riuscirai a stare meglio” . “Non lo so dottore se riesco a fare tutto quello che mi ha scritto . Tra un po’ ritornerò in carcere poiché ho un residuo di pena per reati vecchi . Sembra quasi che la vita ha deciso di farmi pagare tutti gli errori commessi ad , un prezzo superiore a chiunque altro. Ma ormai non mi interessa più niente mi facessero quello che vogliono tanto io non sento più il dolore perché sono già morto !”. Dopo queste sue parole crude e pronunciate con disprezzo verso se stesso e verso la vita ci siamo fissati per alcuni secondi ed è in quell’istante che ho percepito la sua angoscia frammista a rimpianto e commiserazione. La stessa sensazione che aveva cercato di comunicarmi con un linguaggio molto più semplice non era altrettanto efficace. Alla fine della visita mi sono alzato dalla scrivania e l’ho accompagnato verso l’uscita cercando di incoraggiarlo e di immettergli una flebile di speranza, ma credetemi non è semplice dare speranza a questi individui, ogni frase anche gentile può sembrare retorica e anacronistica. “Una volta alla settimana vado alla casa circondariale per visitare i detenuti, probabilmente potremmo incontrarci ancora”. Scorsi in lui un fugace sorriso immediatamente spento dal suo sguardo basso. Poi si è girato verso il corridoio e ha proseguito verso l’uscita con la testa bassa ed il passo lento. Così come era entrato!.