di Ermanno Testa
C’è una correlazione tra l’affidarsi di una comunità alla protezione del santo patrono e il fare ricorso alla raccomandazione? Rivolgersi al proprio santo patrono tramite preghiere e offerte votive al fine di ottenerne l’intercessione in proprio o altrui favore, sintomatico di una religiosità quasi pagana e mercantilistica, quanto contribuisce a perpetuare di generazione in generazione quell’atteggiamento di sudditanza verso i ‘potenti’ da parte di intere comunità? Un malcostume, questo, ancor oggi duro a morire. Non è forse casuale che questo anacronistico modello culturale sia pressoché assente nei Paesi in prevalenza protestanti nelle cui chiese riformate non è ammesso il culto dei santi poiché tale pratica è da interpretarsi come una forma di politeismo. E anche tra gli ortodossi, dove invece il culto dei santi è ammesso, tuttavia essi non vengono associati ad occupazioni o attività.
Il modello ha un’origine sociale nell’antica Roma: il patronus (da pater), il protettore, era un cittadino di una certa autorevolezza, in genere patrizio, chiamato così per via del legame, detto di patrocinio, ossia di protezione, che aveva con schiavi affrancati o con plebei indigenti. Un costume di sudditanza forse non privo, in parallelo, di richiami religiosi, pagani e cristiani, che nei secoli probabilmente non si è mai del tutto interrotto; ma che, con le invasioni barbariche, in condizioni di crescente e generale disagio, morale e materiale, e di incertezza e di pericolo per il disfacimento di ogni tradizionale autorità, ha trasferito interamente ogni richiesta di protezione, con una alienante proiezione psicologica, nel culto devoto di autorità metafisiche in qualche modo ‘familiari’, cioè i santi e i beati. Che si trattasse di un’esigenza popolare diffusa lo dimostra il fatto che per alcuni secoli le stesse comunità e le istituzioni civili hanno concorso con il clero alla scelta del santo patrono, talvolta eleggendo anche più di un patrono e persino santi non canonizzati. La Controriforma, a differenza delle chiese riformate, non abolì ma anzi consolidò tale pratica con una normativa canonica (Urbano VIII, 1630) che regolarizzava la scelta del patrono avocandone il controllo al papa e favorendo nel contempo anche una certa semplificazione, in funzione dei calendari liturgici locali, affinché venisse istituito, dove possibile, non più di un patrono per luogo.
Normative più recenti (Paolo VI, 1970) ribadiscono tale impianto stabilendo una ulteriore riduzione del loro numero, con la conferma che scegliere i patroni spetti ai vescovi e al clero ma che siano chiamati ad esprimersi mediante pubbliche consultazioni anche coloro che godono della loro protezione, cioè la popolazione interessata. Attualmente in molte realtà, specialmente del Mezzogiorno, il culto dei santi patroni, protettori di paesi e città, sopravanza ogni altra manifestazione religiosa. Auspicandone una protezione maggiore se ne assegna il nome ai figli, si compiono ardue prove di penitenza, si dedicano loro oggetti di valore; se ne accompagnano per le strade, portate a spalla in processione, le statue con le loro sembianze (ipotetiche) e le teche contenenti i loro resti umani tra preghiere, applausi, musica e canti religiosi, innalzando stendardi, candelabri, bandiere. Manifestazioni collettive che accrescono l’attesa, la fiducia nella grazia, e generano consenso ed ottimismo, suggestione, superstizione, isteria collettiva, ma anche rassegnato adattamento alla propria condizione esistenziale… senza di fatto mutarla.
Accanto a quelle religiose, al cospetto della folla, presenziano i riti le autorità militari e civili in alta uniforme e in pompa magna, in una coesistenza di sacro e profano, funzionale alla riaffermazione di entrambi i poteri: religioso e civile. Cosicché nell’immaginario collettivo, con il beneplacito di tutte le autorità, la simbologia della raccomandazione al santo patrono trova la sua giustificazione, vive la sua apoteosi; diventa un modello assoluto, un motivo per legittimare ogni tipo di raccomandazione volta ad ottenere un qualche privilegio. E le autorità ne sono i padrini. Una simbologia talmente forte e coinvolgente da interessare in diversi casi anche altri padrini, di assai dubbia reputazione ma localmente assai potenti. Questi cercano, anche se ufficialmente non desiderati, di ‘entrare nel gioco’ presenziando e plaudendo apertamente alle cerimonie religiose, offrendo platealmente al santo doni o danaro, magari facendo sostare brevemente il corteo davanti alla propria abitazione a rimarcare il loro ruolo di potenti del luogo, ben disposti anch’essi a ‘proteggere’ e a rispondere, non senza ovviamente pericolose e avvilenti contropartite, ad eventuali richieste di raccomandazione di singoli individui.