I DELIRI DI UNA TERRONA FINITA IN ZONA ROSSA

di Carmela Moretti

Ti svegli al mattino, fai un gesto quotidiano come accendere la radio e scopri di essere dall’oggi al domani in “zona rossa”. Spalanchi gli occhi e ti dai da fare per cercare tutte le informazioni utili. Fino alla sera prima non l’avresti mai detto, niente lo lasciava presagire, perché l’area in cui vivi, all’estremo nord, sembra davvero un eden sulla terra, con il lago e tutt’intorno le montagne e splendidi giardini già fioriti e turisti che iniziavano pian piano a popolare viuzze, alberghi, ristoranti. E di fronte a questo scenario il cuore si rasserenava e pensava: “No, qui è proprio impossibile. Capiterà agli altri, ma non qui”.

Invece, giusto il tempo di sgranchirmi le braccia dopo un sonno ristoratore e leggere qualche notizia: sono proprio in zona rossa, cavolo! Una semplice parolina accostata a una annotazione cromatica, che nei fatti ha cambiato di punto in bianco l’ordinarietà.

Che cosa significa? Bene, proviamo a spiegarlo.

Per esempio, per me significa non potermi recare con i mezzi pubblici nel paesino accanto, che dista soltanto 4 chilometri dal mio, quello in cui l’anno scorso ho lavorato. Lì ci sono ex alunni, colleghi, amici, che avrei tanta voglia di riabbracciare, ma il decreto su questo è chiaro: evitare gli spostamenti non necessari, anche nell’ambito della stessa provincia. Certo, potrei sempre provarci percorrendo all’imbrunire le stradine nascoste, segrete, quelle che in pochi conoscono, ma non mi sembra il caso di comportarmi da fuggitiva. Dunque, desisto.

Significa cercare di riorganizzare la mia vita, ma il pensiero mi riporta costantemente alla mia famiglia, che ho lasciato al sud. “Se dovesse succedere qualcosa ai miei genitori, come faccio?”. Penso che i voli da Malpensa sono stati cancellati, mentre i treni chissà se partono, ma comunque so per certo che al sud non mi vogliono né i governatori né i miei conterranei, nonostante il decreto non lo impedisca – ricordiamo che sono ammessi spostamenti per tornare dalla zona rossa verso la propria residenza. Potrei provarci attraversando tutto il Piemonte, per poi oltrepassare le montagne e arrivare in Liguria e da lì a nuoto puntare dritto verso la Puglia, ma poi mi dico che tornare sarebbe moralmente ingiusto (ammesso che io sopravviva alla traversata), tanto vale allontanare questo pensiero.

Significa andare a fare la spesa e dinnanzi agli scaffali abbastanza pieni respirare profondamente e provare a non farmi prendere dal panico. “Svuoto tutto o compro solo il necessario?”. E intanto mi guardo attorno e faccio attenzione a non avvicinarmi troppo agli altri, soprattutto agli anziani, quegli stessi anziani a cui fino a qualche giorno prima potevo stringere la mano calorosamente. Tutto vorrei in questo momento, meno che trasformarmi inconsapevolmente in un serial killer.

Significa ancorarmi ai dispositivi tecnologici come un naufrago a un pezzo di legno, per restare in contatto col mondo. Ed è strano, perché proprio l’altro ieri mi ero ripromessa di riscoprire la vita vera, fatta di persone in carne e ossa, sorrisi, sguardi, confidenze. Invece, adesso l’unica vita possibile è quella virtuale. Ancora un click e un like, dai!

Significa poter andare a fare una passeggiata all’aperto, nei boschi, nei sentieri, nei parchi, tornare ad apprezzare gli odori della natura, ma come dice il virologo Burioni, “meglio da soli”. Ancora più soli di quanto non lo fossimo già? Mamma mia, che tragedia!

Significa pensare che al tre aprile mancano 25 giorni e allora un attacco di ansia sopraggiunge a stringermi lo stomaco. Poi, però, faccio un respiro e penso che in tanti ce l’hanno fatta prima di me e in tanti ce la stanno facendo con me. Penso al sacrificio di medici e infermieri che sono in prima linea, penso a chi non c’è più, a chi sta combattendo, a chi ogni giorno rischia a causa del Coronavirus (anche economicamente) e allora ripeto a me stessa come un mantra: “Ce la possiamo fare”. Patatine, dolciumi, coca cola, libri e film possono aiutare a mantenere un minimo di sanità mentale.

Infine, leggo sui social i tanti messaggi di odio, scritti da quei geni che non sanno assolutamente che cosa significhi vivere in “zona rossa”. Ciononostante, diventano maestri di vita per gli altri con toni ai limiti dell’arroganza, mentre nel frattempo continuano ad affollare pub e bar.

Ma questa è tutta un’altra storia… ridicola.

(foto tratte dal web)

 

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