GLI INFLUENCER E YOUTUBER: VIL RAZZA DANNATA??

di Giulio Loiacono

Da un po’ di tempo – vista la crisi mondiale della cosiddetta tv, ed in particolare modo, di quella generalista – sempre più mi abbandono al vezzo/vizio di vedere cose sia sui social che, con maggior dovizia, sui canali YouTube. Come è arcinoto, quest’ultima è una piattaforma privata internet su cui i cosiddetti “content creator” mettono in rete filmati, dopo in genere avere aperto “una pagina” ossia un account o più volgarmente un sito personale. Ve ne sono di tutti i tipi. Io guardo- e mi occupo solo-quelli cosiddetti informativi e di storia. Sono quasi certo che quello che sto per dire sia valido per tutti i tipi di pagine, ma, mentre per ciò che riguarda contenuti, che so io di giuochi per bambini o di cucina, so poco e presumo, per quelli invece di cui sopra –  storia o attualità o analisi strategica e/o militare o infonews – ne so di più e mi faccio un’idea abbastanza compiuta.

Cominciamo dagli influencers da social. Questi, per come la vedo io, si sono fatti prendere dalla sindrome di Vacchi. Gianluca Vacchi, rampollo di una famiglia di imprenditori molto abbienti, dopo aver svolto un periodo di lavoro nella azienda di famiglia, si è fatto liquidare le sue quote azionarie ed ha cominciato, attorno ad una decade fa, a mettere diciamo così in rete filmatini curiosi, il cui dato unico era ostentare felicità forzata e fortuna reale. Di lì, almeno da noi, una torma indistinta di persone, le quali andavano dal riccone allo spiantato più totale – e non solo redditualmente – si è messa, sostanzialmente, a recitare una fiction acchiappa click. Con alterne fortune. Pari alle loro fortune pregresse. Con sporadiche eccezioni. Sì va dal bleso che ti racconta la più importante città di America inventandosi “urban explorer” e creatore del “metaverso a costo 0” alla doppietta mamma e figlia, in versione Gilmore Girls – in italiano “Una mamma per amica” – che, finte ingenue, vanno alla scoperta del Nord Est atlantico, con il candore proprio dell’ultimo fustino da bucato del supermarket. Insomma, senza che io ci stia a dedicare più tempo, perché altro mi interessa, creano appunto queste fictions de noantri ostentando chi una volgarità da parvenu ed invitando alla offesa per aumentare interazioni e visualizzazioni da algoritmo sensibile, chi altro vagando come una Alicetta nel Paese delle Sue Meraviglie, con figlia adolescente di ordinanza al seguito, con quel finto stupore addosso e con quella vocina chioccerella da ochetta giuliva attirando gruppi di mamme italiane che invidiano, tra malcelate verità e ipocrite sviolinate, le sue fortunate sbarcate sulla terra dei Padri Pellegrini.

Ebbene, costoro interpretano dei ruoli. Nella loro furbizia costruiscono una fiction artigianale in cui tutto è verosimile ma non reale ed edificano communities di haters o di seguaci adoranti smaniosi come pretoriani. Quale sia la loro collocazione giuridica, sarebbe necessario che le autorità intervenissero. Ma come? Definiamoli imprenditori? A partita IVA? Mah! Operando all’estero su una piattaforma di condivisione internet privata come ci si regola fino in fondo? E qui veniamo agli YouTuber che, appunto, secondo il nostro modello di diritto fiscale italiano, sarebbero delle partite IVA. Questi si lamentano dei pochi ricavi che hanno dalle piattaforme. Senza dilungarmi su cose ancora poco chiare, quali il rapporto ricavi da YouTube e visualizzazioni, copyright strikes e violazioni dirette dei copyright-cose che anche un semplice programmatore si trova a fronteggiare nel suo lavoro-che ci porterebbero oltre, mi pare di poter dire che, non potendo nessuno sopravvivere con i soli ricavi diretti, sponsors donatori e patreon, come vengono chiamati i sostenitori di queste pagine, ci sia molto poco di trasparente dietro a queste. Come uno, ad esempio, che fa analisi militare e strategica, possa gestire da solo queste informazioni, vagliarle, setacciarle, metterle in rete usando programmi informatici, ecc… è cosa impossibile. C’è quindi bisogno di uno staff. E pure capiente. Ci vogliono tantissimi soldi. Attenzione, così vi fermo subito: io non dico che ciò sia scorretto per natura. Tu puoi ricevere aiuti consistenti da lobbies. Ma li devi dichiarare. Esplicitamente. Invece, molti di questi dicono, con malcelata ironia: “se io fossi pagato da Leonardo – colosso italiano del settore armamenti ed areospazio – ma magari lo fossi!”. Io non dico questo. Ma, se ciò fosse, che lo si dichiari. In totale trasparenza. Altrimenti si comincia a poter e dover credere che ci sia molto di torbido in questo affare. Per loro.

Io gradirei, ad esempio, che a trattare di guerra e cose simili fossero i militari in servizio che rilasciassero conferenze stampa regolari su questi temi, per conto dello Stato. Come avviene in tanti paesi. Compreso questo in cui vivo. Mentre in Italia si ondeggia tra un pacifismo peloso ed un silenzio altrettanto peloso. E fioccano gli Youtuber. E con loro gli influencer da fiction. La informazione, però, non è fiction. Compete a professionisti veri che, infatti, finiscono col coinvolgere gli Youtuber, cosi come la stampa periodica si è arresa al web ed alle sue, più volte, panzane. E si torna daccapo a dodici. Meditate gente.

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