“FRAMMENTI DI VITA”, di Dante Mazzitelli, Gelsorosso

di Francesco Monteleone

“Non ricordi mai davvero!”

In un unico, sobrio e irremovibile pensiero il campione del calcio tra i più grandi di sempre, Zidane, ha così sintetizzato ciò che si prova a rimembrare le proprie vicende, sia le più dolci che le più dolorose. La sua è una verità limpidissima, metà tenera, metà spietata. Quel che ci rimane della vita trascorsa è una serie di frammenti di immagini che producono una percezione diversa del nostro tempo vissuto: una percezione episodica, ombrosa, alterata. Passata la fanciullezza, la memoria ci fa riaffiorare la visione di un’esperienza fatta, ma purtroppo ne trattiene solamente quanto c’è di essenziale.

Ebbene quei frammenti (che spesso sono fantasie, ma cosa importa se un ricordo è vero o falso?) contano quanto l’esperienza oggettiva delle cose, se non di più.
Tutto ciò capita all’intera umanità; perciò, a una certa età, è capitato anche al prof. Dante Mazzitelli, un imprenditore valoroso, un editore innovativo e di inusuale liberalità che ha sempre agito con ‘cautela’ e ‘misura’, due virtù essenziali in filosofia per Spinoza e Cleobulo.
“Adesso che me ne faccio dei miei spezzoni di vita? Se li racconto a voce rischiano di diventare una narrativa malinconica o vittimistica. E se me li tengo dentro, finiranno nell’abisso dell’indifferenza altrui. Perché sprecare i miei ideali? Ho voglia di dichiararmi, di farmi capire; posso dare nuova energia e non tardivo riconoscimento a un mondo definitivamente scomparso, ma non perso. La cosa migliore è scriverli”.

Suppongo che abbia ragionato così il prof. quando ha preso carta e penna (stilografica) e ha iniziato a comporre questo testo. Il senso rivelato in questo diario di vita ha tre sembianze: far risplendere la luce di persone che furono in carne e ossa e delle quali oggi, vive o morte, rimane solo la presenza immateriale. Svelare l’amore, anzi i tanti amori incubati, provati e non provati, senza temere di arrossire; e dare inchiostro tipografico ai piaceri proibiti, per non spegnerli.

Noi lettori in quali tentazioni possiamo largheggiare?
Nel cercare di strappare il segreto sentimento a un verso; nel giocare a individuare in questo prodotto estetico le tracce di una storia coinvolgente; nel riconoscere i personaggi ai quali l’autore, deliberatamente, non ha dato identità certa. Qualcuno, però, è inconfondibile. Dante Mazzitelli ha portato all’altare un’unica moglie; solamente un amico fu appellato “Magnifico”; non esiste altra Titti, al mondo, che sua sorella. E se permane qualcosa di enigmatico, non fa niente. Leggendo “bisogna comprendere ciò che ci prende” direbbe un grande critico letterario (che è inutile citare).
Per materializzare i suoi pensieri in rifinite espressioni verbali il prof. Dante Mazzitelli non ha certamente seguito i procedimenti canonici del verso (la rima, le allitterazioni, il ritmo, le metafore ecc.). Ha lavorato parole semplici, le più semplici del vocabolario quotidiano, impastandole nelle giuste proporzioni come si fa con cemento, acqua, sabbia per ottenere la malta. E ora, quei fluidi sentimenti asciugati e induriti in ogni singola frase di questo libro, come la malta, avranno il compito di resistere nel tempo.

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