ECCEZIONALE SERGIO CASTELLITTO IN “ZORRO”. UN VAGABONDO IRRIVERENTE, CHE CI ROVESCIA ADDOSSO LA VERITÀ

di Carmela Moretti

Sergio Castellitto lo amano in tanti, perché al cinema e in televisione ci ha viziato, abituandoci a interpretazioni notevoli. Lo abbiamo visto di recente nei panni del valoroso Generale Dalla Chiesa. A teatro, però, è persino qualcosa in più. Sul palcoscenico è maestoso, sembra un gigante, prende tutto il suo talento e lo lascia esplodere dalla platea fino al loggione.

Dal 19 al 22 gennaio scorso, l’attore romano è stato in scena presso il Teatro Rossini di Lugo con lo spettacolo “Zorro”, riproposto dopo circa vent’anni.

È un’ora e mezza di monologo, con pochi oggetti scenici come “spalla” (un cappello, un guinzaglio, una panchina), in cui l’attore riesce a mantenere alto il livello di pathos ed è qui che si esprime tutta la sua classe. Un’ora e mezza di spettacolo in cui si ride e si piange, perché lì, proprio lì sul palcoscenico, lo spettatore vede sintetizzato tutto il senso dell’esistenza umana.

“Zorro” è tratto dall’omonimo libro di Margaret Mazzantini, moglie dell’attore. E diciamolo chiaramente: buona parte del successo dello spettacolo si deve proprio al testo della Mazzantini, che anche in questo romanzo del 2004 – come in altri suoi – seppe proporre una storia vivida, intensa, di grande durezza e poeticità allo stesso tempo.

Castellitto veste i panni di un vagabondo. Da una panchina, che è diventata una casa, ripercorre tutta la sua vita e le ragioni che sottendono le sue scelte: l’infanzia, l’amore per sua madre, il legame con sua moglie, la telefonata che gli farà letteralmente cadere il mondo addosso.

È un “treno di ricordi” che va avanti e indietro nel tempo e che diventa l’occasione per scavare più in profondità. C’è tanto in questo spettacolo: c’è il disagio di un bambino che non cresce; c’è il tema della maschera che tutti indossiamo e che nasconde il viso vero; c’è il guinzaglio delle “cazzate” sociali – gli occhiali all’ultima moda, il pranzo della domenica – che ci stritolano e a cui non sappiamo rinunciare.

Zorro, diversamente da noi, è ai margini, è al di sopra, è libero. E proprio per questo, può permettersi di rovesciarci addosso tutto quello che sotterriamo. È un po’ come la nostra coscienza, che ci urla chiaramente che siamo dei deficienti, ma poi ci assolve, dicendoci che ognuno fa le proprie scelte, ognuno ha il suo sistema di valori.

In fondo, la vita – ci ricorda Zorro alla fine dello spettacolo – è un treno che va avanti da sé, qualsiasi direzione essa prenda. È proprio ciò che rende veramente meraviglioso il nostro viaggio.

E noi in sala, su questo, ci asciughiamo timidamente una lacrima.

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