di Giulio Loiacono
La storia della squadra di una città che, unico capoluogo di provincia italiano, non aveva una stazione ferroviaria è la plastica raffigurazione di una meteora che rifulse solo una volta per precipitare di nuovo nell’inferno del buio.
Era la stagione 1978/79. Era il tempo della ultima disco e dei feroci anni di piombo; la stagione del Post Mundial di Pablito 1978, quello dei massacri della dittatura argentina e dei desaparecidos ed impropriamente quanto improbabilmente, la banda del Presidente, Senatore DC, Nicola Salerno, ovverosia il Matera Calcio, raggiunge la Serie B.
Cantore di questa storia, edita da Les Flaneurs, è una anima particolare ed unica nella storia del calcio professionistico.
Un giovanotto, di nome Luciano Aprile, da Acquaviva delle Fonti (BA), dove tutt’ora vive. Ragazzo vissuto a Palermo, segaligno di 187 centimetri, pieno di capelli, prelevato da una squadra iperdilettantistica, il Cassano, giuocando a destra in una amichevole contro il Matera, allora galleggiante in terza serie, folleggiò, per dirla alla Pizzul, per un pomeriggio, facendo ammattire il povero terzino destro.
In un’epoca in cui il terzino era terzino, lo stopper quello che si prendeva il centravanti, questo strano e querulo con sé stesso personaggio dubbioso e dolente, incerto ed insicuro, ascese quel giorno tra i grandi del professionismo.
Quel Matera di lì a poco arriva niente meno che alla serie B, ma il nostro Luciano Aprile non sembra partecipare della gioia. Vive in una realtà, soprattutto a quell’epoca, tutta sua, in cui l’incertezza e lo scontento, quando non diviene razionale sconforto, si impossessano di quella anima diversa, troppo diversa da quei determinati animatori della pedata, tesi solo a realizzare i loro traguardi sportivi.
Gli altri gioiscono spendendo in lazzi e champagne i loro non pingui guadagni, mentre lui guarda oltre, forse a qualcosa di più.
Ma è sempre timoroso, il giovane Luciano. Le sue piccole e grandi glorie, come il goal, improvviso per molti, voluto per lui – che cela l’orgoglio con timido riserbo, anche a distanza di più di quarant’anni – nella seconda giornata di quella storica stagione contro il Taranto, dopo aver pareggiato incredibilmente, nella prima giornata in casa del fortissimo Genoa, sembrano tutti traguardi sensazionali per il piccolo Matera, ma “il disastro sportivo” è dietro l’angolo.
Tutto in Aprile è di una dolcezza dolorosa, anche quando vuol essere duro e raccontare delle – anche sue – piccole meschinità della vita (le scaltrezze del povero Tafuri, cui Aprile leggeva le notizie della Juventus, delle quali gesta all’analfabeta morto di SLA solo interessava; le 50000 lire allungate senza troppi rimorsi al povero ciclista nel suo ultimo giorno di naja nella Compagnia Atleti di Napoli per “farsi sostituire” nella corvée di guardia) ovvero la scarna poesia dell’”Angelo” del calcio, ostinato poeta dell’impossibile, con piccole punte di commozione.
E così si arriva al riepilogo di una storia, di una vita vissuta in quei grigi e paradossali anni settanta e ottanta con la mestizia del ricordo ed una timidezza sincera di penna e cuore.