“DOVE NON ARRIVAVANO I TRENI ARRIVÒ LA SERIE B”, di Luciano Aprile, Les Flâneurs Edizioni, 2018

di Francesco Monteleone

Un libro sul calcio, scritto bene, vale più di 100 noiose partite. Sappiatelo, cari tifosi che non frequentate le librerie. Eppure sono veramente pochi i titoli in catalogo. È strano come il fenomeno sportivo che coinvolge miliardi di persone non sia mai diventato una sorgente creativa per la letteratura. Senza avere nessuna pretesa di verità, noi supponiamo che attualmente i titoli di romanzi, saggi (poesie non ne parliamo!) sul football siano un centinaio, forse duecento in tutto il mondo. Bene, il volume che vi presentiamo entrerà a far parte dei classici di questo genere letterario e chi frequenta gli stadi dovrà sistemarlo nella sua collezione ideale.

Luciano Aprile è un caso veramente unico nel mondo del calcio; ha giocato da professionista, è dottore in filosofia, possiede una conoscenza del cinema, della musica e delle lettere che nessun altro suo collega pallonaro ha mai avuto, ne siamo certi, ma vorremmo tanto essere smentiti. È importante questa connotazione, perché ciò che uno sa, lo utilizza in ciò che fa. Quel calciatore con tanti riferimenti culturali espresse un gioco estetico, etico, epico; lo giuran tutti. Il calcio di Aprile fu un calcio ‘spinoziano’, regolato da tristitia e laetizia, anche se lui, avendo uno spirito nichilista, si sente nietzschiano (e ben gli sta che ha perso l’invidiabile chioma alla George Best)

Quando descrive i momenti peggiori della sua carriera, Aprile tenta di dimostrare la sua affermazione preferita: “non valevo niente”. Una falsa e pomposa autodistruzione. Invece, quando sbriciola la nostalgia di un periodo fantastico, con prosa di selvatica purezza, i suoi ricordi diventano per noi oggetti d’arte visiva: lo spogliatoio, nel quale ogni giocatore sente il rapporto ambivalente tra fusione e odio con la squadra; il rigore sbagliato che sviluppa sensi di colpa indistruttibili; i goal che brillano nella memoria collettiva come stelle nel cielo; la disciplina imposta dagli allenatori, che genera sofferenza mentale; le fenomenali invenzioni dei calciatori più estrosi…In questo libro sono passate in rassegna le infinite connessioni culturali ed emotive tra il calcio e la vita. Oggi è tutto più finto e caricaturale. I ragazzini non si rompono le scarpe per strada con il ‘Super Santos’; i ‘mister’ decidono le posizioni in campo con gli schemi (sic!); girano troppi soldi leciti o illeciti; e le partite si vedono più fuori dello stadio che dentro.
In verità Luciano era uno che entusiasmava i tifosi, fu modello morale a campioni veri che non sapevano leggere e scrivere, con il suo talento orientò l’attenzione su una città ‘assente’ dall’Italia e riunificata proprio grazie a un campionato vinto. Il suo libro è un flusso sincero, impetuoso, drammatico di fatti che, elaborati nella mente come pensieri, si trasformano in un coltissimo recupero del tempo passato; assomiglia, nelle ricostruzioni della coscienza, alle Confessioni di Sant’Agostino.
Luciano si è sempre impegnato moltissimo per risultare antipatico ai suoi simili. È radicalmente misantropo; nel suo agire fa sempre qualcosa di imperdonabile. Questa volta, pur sapendo che lo volevamo fortemente, non ha raccontato il goal che lui, nativo leccese, segnò contro il Bari e per il quale è finito negli annali biancorossi. Inoltre, errore più grave, non ha dedicato il libro a nessuno. Tutti i cazzi di libri hanno una dedica, lui ha riempito le pagine di epigrafi filosofiche e non ha fatto felice la persona che lo ha ispirato. Ebbene, siccome posso permettermi un piccolo arbitrio, mi intrometto nella faccenda. Questo piccolo tesoro di un ‘centravanti di manovra’ interinale va donato ad Anna, sua moglie, che lo ha marcato ‘a uomo’ come un terzino d’altri tempi, tipo Claudio Gentile; con lei vincere i duelli in campo non gli è stato mai facile.

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