di Nicola Pignataro
Mi chiamo Nicola Pignataro, faccio l’attore comico e il mio nome d’arte è Nicola Pignataro (se avessi cambiato il settenario, papà che faceva il camionista m’avrebbe disconosciuto). Ho girato 3 quarti di mondo, compresa tutta la Cina, alla fine di ogni stagione teatrale per riprendere le forze. Ma questa che sto facendo adesso è la vacanza più lunga della mia vita, la mia prima vacanza familiare.
Era il lontano 24 aprile del 1943 quando emisi i primi vagiti che, aprendomi le porte alla vita, mi resero ospite della terra. Fui uno di quel miliardo e mezzo di persone che in quel momento abitavano il pianeta azzurro.
Ho vissuto una vita tranquilla, a volte spericolata, cercando di aprirmi un varco tra la folla sempre lottando per raggiungere uno scopo di vita, in una nazione povera e con le ferite di una guerra alle spalle. Da allora uno è stato sempre il pensiero dominante nei discorsi con gli amici coetanei, tra una partita al calcio balilla ed una di ping-pong all’oratorio Redentore o al bar, allo stadio o in altre occasioni. In effetti, fino all’inizio del febbraio di quest’anno, si diceva: “Siamo una generazione fortunata abbiamo vissuto sempre in pace”. Rispondevano gli altri: “Sì, per tutta la vita non abbiamo avuto la disgrazia di una strage di massa senza fine, nemmeno negli anni bui del terrorismo, sia politico che mafioso”. E tra una sghignazzata e l’altra: “Che bella epoca la nostra, che vita!”. In effetti una vera e propria guerra non l’abbiamo mai combattuta dal ’45 in poi.
Di colpo, invece, senza che nessuno se lo aspettasse, ci siamo ritrovati nella più assurda e vigliacca guerra che si potesse immaginare. Una guerra vera da combattere contro un nemico invisibile, scaltro e vigliacco, che ti raggiunge senza che nessuno possa fare qualcosa per difendersi a viso aperto: il virus, un parassita (come se già non ce n’erano altri).
L’unica maniera che ci è stata lasciata per evitare la disfatta è la fuga. Quella fuga dal pericolo che i libri di storia considerano una forma di vigliaccheria. Chi poteva mai immaginare che l’unica speranza di non morire ammazzati da un parassita incoronato, doveva essere quella di sparire dal contesto della vita sociale. Ritirarsi. Non affrontare più le giornate come ci era stato insegnato dai nostri avi. Non dobbiamo più frequentare i nostri simili, dobbiamo avere paura di chiunque, non avvicinarci a nessuno. Praticamente una vita da fuggiaschi. E allora a cosa è servito l’esempio di John Wayne, gli Orazi e Curiazi, gli Enrico Toti? E i gladiatori? E gli eroi Greci e quelli dell’antica Roma? Niente! Per salvare la pelle a sé stessi, ai propri familiari e a tutta la popolazione, bisogna ora rimanere chiusi in casa. E dobbiamo farlo! Sarebbe una autentica catastrofe ignorare il problema.
Quasi tutte le persone intelligenti hanno capito che è l’unica maniera per uscirne fuori. Per vincere un nemico che si nasconde e ti colpisce a tradimento, il rimedio è quello di rimanere chiusi in casa ed uscire da soli e solamente per motivi necessari. Come quando mio nonno, “Meste Nanuccio”, in tempo di guerra usciva di casa senza timore dei bombardamenti per comprare, a volte di contrabbando, un tozzo di pane o un poco di latte da portare a casa.
Se ricordo bene era il 26 febbraio di questo 2020 o giù di lì, (ma allora è proprio vero che gli anni bisestili portano sfiga?), la TV annunciò che la storia di questo Coronavirus era veramente seria e ce ne spiegò i motivi. Ci misi un poco per comprendere e, senza pensarci su due volte, dopo avere consultato i miei attori, chiusi per primo in città il teatro, annullando le recite del 29 febbraio e 1 marzo per la rappresentazione della commedia: Amore a terza vista. La settimana dopo mi seguirono consapevolmente quasi tutti gli altri teatri. Poi, arrivati gli obblighi con i decreti ministeriali, chiusero anche i cinema e tutti i teatri indistintamente, ed anche le altre attività economiche non assolutamente necessarie.
“Tutti a casa, se dovete uscire, potete farlo solo da soli e con la mascherina e, soprattutto, nessun assembramento”. Questo fu il consiglio, se non la imposizione data dalle autorità. Intanto, alcuni imbecilli, non capendo subito di che cosa si trattasse fecero orecchi da mercante continuando a girovagare e fare ginnastica all’aperto. Per i virtuosi che avevano intuito la gravità della situazione, ahimè, ci fu un problema: le mascherine in tutte le farmacie erano esaurite di colpo. Erano stranamente diventate un bene prezioso ed introvabile, se proprio ne trovavi qualcuna era a prezzi da strozzino.
Nel frattempo anche le autorità sportive, fingendo di collaborare, avevano stupidamente fatto disputare, alcune partite di calcio a porte chiuse, mettendo a rischio la salute dei calciatori e degli altri addetti. Poi finalmente fu dichiarata la chiusura di tutte le manifestazioni sportive. A questo punto tutti a dire: “Allora è vero? Allora è una cosa seria!”. “E mò”? E adesso che si fa? Allora veramente dobbiamo stare tutti in casa? Presi dalla paura di dover pure digiunare, via all’attacco! Spesa fatta nel primo supermercato avvistato e rifornimento da “guerra mondiale” e, molti seppur a malincuore, chiusi in casa.
In effetti, chi aveva mai vissuto con tanta pace e tranquillità la vita familiare? Vita nuova, abitudini cambiate drasticamente. Ogni tanto guardo la TV. Ascolto programmi che, dicono tutti sempre le stesse cose ripetute all’infinito. Quindi, dopo venti minuti o giù di lì, televisione finalmente spenta. Avendo tanto tempo a disposizione sto assaporando la vera vita in famiglia. Ho ritrovato vecchie fotografie, le ho commentate con mia moglie. Ho potuto godere la sua compagnia senza quella fretta che me lo aveva impedito fino ad oggi. Ho rovistato i vari cassetti, ne sono uscite cose che pensavo di avere perso definitivamente. Dormo come non mai. Ho dato fastidio a tutti gli amici facendo loro telefonate. Si sono sprecati i “Ciao come stai?”, ho potuto godere i loro “Ciao Nicola, da quanto tempo”. Onestamente l’impegno a scansare il parassita infettante è diventato quasi un dolce gioco.
No, non sono uscito sui balconi a cantare “Fratelli d’Italia”, non me la sono sentita di fare baccano, mentre dagli ospedali arrivavano notizie terribili di persone ricoverate, gente che moriva cadendo come le foglie al vento. Per la prima volta anche se sono uno stupido agnostico ho pensato che, se ci fosse davvero qualcuno lassù, forse è giunto il momento di farsi vedere. Ecco, in questo io spero, in una sincera preghiera che tutto finisca.
Fermiamoci! Lasciamo lavorare ed aiutiamo in tutti i modi i medici, gli infermieri, le infermiere, i tecnici, i ricercatori e gli scienziati che sono i veri eroi. Con il nostro consapevole comportamento, armiamoci di pazienza. Per adesso mi godo questa bella vacanza familiare e quando tutto sarà finito mi metterò a dieta. Nel frattempo aspettiamo.
Come disse il grande Eduardo (e come rispondo io a chi mi chiede un parere) ADDA’ PASSA’ A NUTTATA”.
(fonte: Gazzetta del Mezzogiorno)