di Michele Cotugno
Cinema e videogiochi sono due media tra loro molto diversi. Ma anche molto simili. Tra le differenze, la minore età dei secondi (i videogiochi hanno poco più cinquanta anni di vita, quasi ottanta, se si contano i primi prototipi), l’esperienza offerta (alla passività del cinema si contrappone l’interattività del videogioco, che permette al fruitore di essere il protagonista dell’opera). Viene sempre meno un’altra differenza. Quella narrativa. Spesso visti come semplici giochini, i videogiochi, oggi, sono sempre più in grado di raccontare storie profonde, in grado non solo di divertire, ma di far riflettere sui temi più disparati, di porre quesiti al giocatore, di mettere alla prova le sue idee etiche e morali. Sono sempre più in grado di raccontare in modo simile a quanto fa il cinema. Prendendo da quest’ultimo, ma anche dando, in un’attrazione e una imitazione reciproca. Il loro rapporto è sempre meno unidirezionale e sempre più bidirezionale. Sempre maggiori sono le interazioni tra videogiochi e cinema, che continuano a ridefinire le dinamiche dell’intrattenimento globale, influenzandosi a vicenda in termini di narrazione, estetica e linguaggio.
VIDEOGAMES E ALTA CULTURA
Di tutto ciò si è parlato ad ottobre nel corso della settima edizione di Videogames e Alta Cultura, tenutasi all’Apulia Film House di Bari. Un’occasione per esplorare questo dialogo tra media, con il contributo di intellettuali, game developer, artisti ed esperti da tutta Europa. L’incontro ha analizzato come cinema e videogiochi, spesso visti in competizione, siano oggi protagonisti di una transmedialità fertile, capace di spingere i confini dell’immaginazione e della narrazione. Tra i temi centrali, il riconoscimento del videogioco come vera e propria forma d’arte e il suo ruolo nella cultura contemporanea.
L’evento, parte della rassegna Apulia Digital Experience organizzata da Rai e Apulia Film Commission, ha approfondito come il medium videoludico, che genera oggi un fatturato globale di quasi 300 miliardi di dollari, stia ridefinendo il modo di raccontare storie, creando sinergie inedite con il cinema. Fabio Belsanti, CEO di AgeOfGames e curatore della manifestazione, ha evidenziato: «Abbiamo approfondito, insieme ad ospiti internazionali, tutta una serie di criticità, complessità e potenzialità della connessione tra questi media. I videogiochi sono ormai diventati maturi. C’è un’audience di giocatori che vogliono contenuti sempre più complessi e adulti e si stanno creando sempre più connessioni con il cinema, ma non solo con quello mainstream delle grandi proprietà intellettuali, ma anche con il cinema d’autore. Stanno nascendo videogiochi d’autore. Come potrebbe evolversi il media videoludico? Come potremmo utilizzarlo anche in importanti ambiti della cultura, ad esempio l’educazione? Sono le domande che ci siamo posti con filosofi, artisti, sviluppatori di videogiochi, in questa tavola rotonda internazionale chiamata, in modo provocatorio, “Videogames e Alta Cultura”, perché solitamente i videogiochi sono sempre stati considerati cultura pop. Talvolta, addirittura, non sono considerati neanche parte della cultura. Ripartendo dal grande saggio “Homo ludens” di Huizinga, possiamo affermare con una discreta certezza che i giochi non solo fanno parte della cultura ma che la cultura stessa nasce nel gioco».
GLI ATTORI NEI VIDEOGIOCHI: DA KEVIN SPACEY AD ALESSANDRA MASTRONARDI
Tra le interazioni sempre più frequenti, c’è l’utilizzo di attori nei videogame. Se ci si fa un giro su Wikipedia e si cercano le filmografie di vari attori, si può notare che, oltre alla lista dei film, appare un’altra voce: Videogiochi. Sempre più spesso, infatti, le case videoludiche impiegano veri attori che non prestano solo la propria voce, ma anche il proprio volto ai personaggi primari o secondari dell’opera interattiva. Se ne possono prendere diversi, di esempi. Prendiamone alcuni. Nel 2017, fu pubblicato un gioco dal titolo “Death Stranding” del giapponese Hideo Kojima, vera e propria star nel settore. Vanta attori di fama mondiale come Norman Reedus (The Walking Dead), Léa Seydoux (Midnight in Paris, Spectre, No time to die), Mads Mikkelsen (Casino Royale, Indiana Jones e il quadrante del destino, Il sospetto) e il celebre regista messicano Guillelmo Del Toro. Nel 2013, Beyond: Two souls coinvolse Ellen Page, nei panni della protagonista, e Willem Dafoe. Anche attori italiani hanno recitato nei mondi videoludici, come Alessandra Mastronardi che affianca un ringiovanito Harrison Ford nell’ultima avventura videoludica di Indiana Jones (Indiana Jones e l’antico cerchio), in uscita a dicembre 2024. Possiamo citare, poi, Kevin Spacey (Call of Duty: Advanced Warfare), Keanu Reeves (Cyberpunk 2077), Giancarlo Esposito (Far Cry 6), Rami Malek e Hayden Panettiere (Until Dawn), Jeff Goldblum (Call of Duty: Black Ops 3), Gary Oldman (Call of Duty: Black Ops). Persino David Bowie in Omikron The Nomad Soul, in un’epoca, il 1999, in cui non era ancora così frequente (anche se tra i cantanti era già stato anticipato da Michael Jackson). Di esempi se ne possono fare tantissimi. La lista sarebbe interminabile e si potrebbe allungare ancora considerando i doppiatori, come il celebre Luca Ward, voce italiana dell’agente Sam Fisher di Splinter Cell. Ma non dilunghiamoci.
Ma non è l’unico aspetto da prendere in considerazione. Se fino ai primi anni ‘90 erano sempre i videogiochi che prendevano dal cinema, oggi succede spesso il contrario.
I PRIMI INCONTRI TRA CINEMA E VIDEOGIOCHI
Fino agli anni ‘80, film che fossero ispirati ai videogiochi non esistevano. Esisteva il contrario. E non sempre con esiti felici. Basti pensare al film E.T. – L’extraterrestre, uno dei primissimi incontri tra cinema e mondo videoludico, anche se non il primo film a generare un videogame. C’era già stato, sempre nel 1982, I predatori dell’arca perduta, capostipite della saga di Indiana Jones e primo vero gioco basato su una licenza cinematografica. Non è un caso che entrambi i film siano di Steven Spielberg, uno dei primi registi ad intuire il potenziale dei videogame e a notare il loro impatto sempre crescente nella cultura popolare (il suo Ready Player One è un grande omaggio all’universo videoludico).
Ma se l’avventura ludica di Indiana Jones fu un successo, non ebbe la stessa fortuna quella dedicata al celebre alieno, ricordata non solo come il videogioco più brutto della storia, ma anche come il più grande flop nella storia del settore. Un flop tale da portare al tracollo finanziario la Atari, che per un decennio era stata la regina assoluta dei videogame (ne abbiamo parlato già in questo articolo, raccontando delle copie di E.T. sepolte nel deserto di Alamogordo, nel Nuovo Messico).
Diversi furono i film che divennero videogiochi. Possiamo citare Rambo, Rocky, Lo squalo, Ritorno al futuro, Alien, Mamma, ho perso l’aereo, I goonies, Die Hard, Blade Runner, La famiglia Addams, Nightmare, Platoon, Predator. E ne potremmo citare tantissimi altri ancora.
IL RAPPORTO DIVENTA RECIPROCO
Fino ai primi anni ‘90, il rapporto era sempre a senso unico, dal cinema al videogioco. Mai il contrario. Nell’82 c’era stato Tron, profondamente ispirato dalla cultura dei videogiochi arcade, ma non era basato su un gioco esistente. Per avere il primo esempio di rapporto inverso si dovette aspettare il 1993, quando uscì al cinema Super Mario Bros, ispirato all’idraulico italiano mascotte della giapponese Nintendo, colui che aveva risollevato l’industria videoludica dopo la catastrofe dell’83, portando il Giappone a prendere le redini del settore, perse dagli Stati Uniti.
Super Mario Bros non fu un incontro felicissimo tra i due media. Considerato un disastro sia dalla critica che dai fan, diversissimo dall’opera principe, odiato dagli attori che ci lavorarono, fu un flop, per quanto probabilmente il giudizio all’epoca fu eccessivamente severo, tanto che, con il tempo, il film è riuscito a diventare un piccolo cult. Neanche i successivi film ispirati a videogiochi furono esperimenti riusciti: Double Dragon (1994), Street fighter (1994), Mortal Kombat (1995). In comune avevano tutti qualcosa. Erano orribili. Probabilmente perché non era facile trarre una narrazione cinematografica da videogiochi che, per i limiti tecnici che avevano avuto fino ad allora, non potevano che avere trame poverissime, banali, meri espedienti per fornire al giocatore un minimo di immersività.
L’EVOLUZIONE NARRATIVA DEI VIDEOGIOCHI
La situazione inizia a cambiare dalla fine degli anni ‘90, quando migliori tecnologie permisero ai videogiochi di evolversi, raccontando storie più complesse e affrontando temi che fino ad allora erano stati competenza di altri media come letteratura e cinema. Si pensi, per esempio, ad uno dei titoli più iconici e lungimiranti del periodo, Metal Gear Solid, del già citato Hideo Kojima. A fare da contorno alle avventure del protagonista, il soldato scelto Solid Snake, c’era una storia che raccontava l’orrore della guerra e le cicatrici che lascia in chi vi sopravvive. Cicatrici in grado di incattivire l’uomo, di renderlo malvagio sotto il veleno della vendetta.
Da allora, i videogiochi si sono sempre più avvicinati al cinema, in alcuni casi diventando veri e propri film interattivi (si pensi ai titoli dei francesi di Quantic Dream e del suo visionario fondatore David Cage), capaci di raccontare storie emozionanti, commoventi al pari del cinema.
Anche il cinema ha iniziato a vedere il videogioco con più maturità, con opere in grado di comprenderne la natura, lo spirito. Ha avuto un meritato successo, ad esempio, la serie The last of us, ispirata all’omonimo videogioco del 2013. Una serie che racconta le avventure di Joel, un tempo padre amorevole, diventato cinico contrabbandiere dopo la morte della figlia in seguito ad un’epidemia che trasforma i contagiati in mostri pericolosi. A far risvegliare nel suo freddo animo il perduto amore paterno è l’incontro con Ellie, bambina immune al virus che deve essere portata al di fuori della zona controllata dai militari.
CONCLUSIONI
«Videogames a Alta Cultura è un evento unico nel suo genere, molto importante, perché esplora le sinergie, le contaminazioni, i rapporti che quelle opere interattive che noi chiamiamo comunemente “videogiochi” intrattengono con tutti gli altri media. Il cinema sicuramente è quello più interessante da questo punto di vista, perché gli assomiglia in qualche modo – ha spiegato Marco Accordi Rickards, direttore del Vigamus – Museo del Videogioco di Roma (ora Gamm – Game Museum) – Il videogioco, per tanti anni, lo ha inseguito e si è fatto influenzare. Pensiamo a Lara Croft di Tomb Raider, evidente versione videoludica dell’Indiana Jones cinematografico. Però negli ultimi decenni abbiamo visto anche come anche il videogioco sia capace di influenzare il cinema nelle inquadrature, nel ritmo serrato e in tutta una serie di espedienti anche di linguaggio. Il videogioco, senza ombra di dubbio, è un mezzo di espressione artistica della valenza culturale. Lo era già negli anni ‘70, ma era più difficile accorgersene per cui molti lo trattavano come un giocattolo elettronico o semplicemente uno svago. Ma oggi è assolutamente evidente e, in quanto medium dal valore artistico e culturale, il videogame deve dialogare con la cultura alta, deve dialogare con tutte le fonti del sapere, dell’immaginazione e della fantasia che, a loro volta, possono avere grandi giovamenti e grande arricchimento dal confronto. Il riconoscimento del videogioco come industria culturale al pari delle altre, anzi con numeri ancora più grandi, fa sì che si capiscano le grandi possibilità di occupazione che ci sono per ragazze e ragazzi. Bisogna cominciare a pensare che il videogioco è un’opportunità, non è più rischio, qualcosa che deve destare allarme. Può fare bene, può veicolare e veicola cultura. Ha un valore artistico e può anche aiutare a trovare lavoro».