CATTELAN, “UNA SEMPLICE DOMANDA”: PERCHÉ?

di Giulio Loiacono

Lo so… ho fatto il fenomeno. Come sempre, non ci sono riuscito. Semplicemente perché non lo sono.

Da questa presa d’atto passa il varcare dell’equatore, ossia quel passaggio che in Marina si fa quando, in una crociera d’altura, si attraversa un valico importante, quella che importa una svolta.

Ammetto anche il mio ruolo dì expat mi rende pressoché ignoto Alessandro Cattelan. Qualcosa sapevo di lui, ma l’idea che mi ero figurato era quella di una specie di Fabio Volo più giovine, una specie di minchiotto che giuoca a fare quello eternamente “cool” in una forzata giovinezza diuturna. Invece, il pover’omo, forse stimolato dai suoi recentissimi fallimenti tv-di cui ho solo letto, non so altro-, si è interrogato, poco dopo la soglia degli “anta”, su cosa sia la felicità. Quella semplice domanda che egli affida alla più grande delle sue due figlie. E lui, magrolino, con la faccia da bimbotto cresciuto, coi suoi tattoos d’ordinanza da “figo”, pare sinceramente interrogarsi senza trovare risposta.

Nella serie, prodotta da Netflix, che cerca di dipanare e svolgere il dubbio, il nostro si arruffa a cercare sponde.

Famose, come Vialli e Baggio-lirico il dolore, nella sua spontaneità pura, dell’ emaciato ma elegantissimo Gianluca, cui va il mio abbraccio indiscusso-. Sacre, come i poveri e banali ministri di culto che cedono alle manciate di ecumenismo da scuole elementari politically correct del Cattelan. Lubriche, come i due fidanzatini di PornHub, affoganti in un delirio di banalità appena appena sconvolto, in me che sono un signore di ampia mezz’età, dai Daisy Dukes della Danika Mori. Tristi, come i cameos di Sorrentino, messo deludentemente da parte dal nostro e confinato a far da regista di cineforum della scenetta “da cagata pazzesca” che Cattelan partorisce. Carini, infine, come il delirio che lui ed il Biggio, suo sodale sin dagli inizi in radio, realizzano all’interno di un supermarket, come negli anni ottanta un giovinotto fece in un film cult per noi vecchietti dal titolo ”Tutto può accadere” con una avvenentissima Jennifer Connelly. Un’ultima annotazione: i due quarantenni si perdono in giudizi sui più giovani sferzanti, del tipo:” Ti ricordi che, ai nostri tempi, la mamma ci lasciava in fila alle casse e noi sudavamo pensando all’ansia che avremmo avuto non sapendo che fare se fosse arrivato il nostro turno mentre i ragazzi di oggi ordinano cibo sulle app e mangiano sushi quando il mio primo sushi lo ho mangiato a 21 anni!? Ma ci pensi??!!”.

Io, che ho all’incirca un decennio in più, che sono stato costretto a fare il soldato e che il sushi lo ho gustato per la prima volta a 45 anni, cosa sarei? Un veterano di guerra ed un eroe nazionale? Ma vabbè.

Ne ho, in ogni caso, scritto perché, in fin dei conti, è godibile se avete appunto spirito da binge watcher di serie tv. Raccomandabile.

 

 

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