CARLO E FEDERICO, I CUGINI PIÙ AMATI DAI MENEGHINI

di Carmela Moretti

C’è una gigantesca statua di 35 metri ad Arona, graziosa cittadina sul lago Maggiore a pochi chilometri da Milano. Rappresenta Sancarlòn, San Carlo Borromeo, e fu fatta erigere lì, nella città natale del santo, da suo cugino Federico, altra celebre personalità religiosa e non solo.

Ma chi sono questi due cugini – Carlo e Federico Borromeo per l’appunto – che hanno lasciato una traccia profonda nella storia della Chiesa cattolica, a cui soprattutto i meneghini sono affezionati? Oltre alla casata, ad unirli in quegli anni di grandi sconvolgimenti era un fervido amore per Dio e il modo di intendere l’operato all’interno della diocesi di Milano, in cui entrambi ricoprirono la carica di arcivescovo. Diversissimo, però, fu il temperamento: il primo è passato alla storia per la santità, l’altro per la dottrina.

Carlo Borromeo nacque nel 1538 ad Arona, rampollo della potente famiglia lombarda dei Borromeo. A spiazzare i contemporanei, come riportato da alcune fonti, era la sua statura insolita per quel tempo: era alto più di un metro e ottanta. Nell’iconografia è ritratto con un volto scarno, sofferente, sormontato da un naso adunco: si cibava prevalentemente di pane ed acqua, una sofferenza che egli visse in pubblico.

Ad avviarlo alla carriera ecclesiastica fu suo zio, papa Pio IV, quindi fu prima legato pontificio, poi sacerdote, infine arcivescovo di Milano. Visse in prima persona gli anni tormentati della Controriforma, ma soprattutto non lasciò mai il suo popolo quando su di esso si abbatté, tra il 1576 e il 1577, quella che viene ancora oggi ricordata come la terribile “peste di san Carlo”.

Federico Borromeo nacque a Milano nel 1564 e rimase orfano di padre quando aveva soltanto tre anni. Della sua formazione si occupò il cugino cardinale, Carlo Borromeo, che lo instradò alla carriera ecclesiastica.

La fonte principale e più “popolare” per la conoscenza di questo personaggio restano “I promessi sposi”. Nel XXII capitolo, Alessandro Manzoni celebra Federico Borromeo con un vivido ritratto. Sono parole di ammirazione, che vi invitiamo a rileggere, in cui l’autore esalta il coraggio e la nobiltà d’animo del prelato.

Federico divenne arcivescovo di Milano a 31 anni. Fu colui che ordinò un processo canonico nei confronti di Suor Virginia – la Monaca di Monza –, condannandola a essere “murata viva”, ma fu soprattutto un grande uomo di lettere e un mecenate.

Dunque, cosa resta alla nostra società di questi due cugini Borromeo? Perché la loro fama ha oltrepassato i secoli ed è giunta fino a noi?

Bene, per i milanesi Carlo è una sorta di co-patrono della città, la figura più importante dopo Sant’Ambrogio. A lui sono dedicate numerose chiese in Lombardia e in tutta Italia.

Di Federico, invece, – coltissimo mecenate – ci resta la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, nel centro storico di Milano, luogo di grande importanza al mondo per la vastità delle opere raccolte, per i personaggi illustri e dotti che ad essa furono legati, per i preziosi incunaboli e per i dipinti di Raffaello, Leonardo da Vinci, Borricelli, che in essa sono ospitati.

Perciò, quando siete a Milano, tra una passeggiata in piazza Duomo e un acquisto in via Monte Napoleone, ricordatevi di visitare questo luogo e di recitare una preghiera sentita per Sancarlòn.

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