di Carmela Moretti
Possiamo dire che sia diverso dagli altri anni, è vero, ma in fondo che cosa è rimasto uguale dopo il Covid? Anche con meno ospiti e con un programma ridotto, il Bari international film festival resta un appuntamento imperdibile per l’aria frizzante che vi si respira: per gli amanti della magia del cinema è come salire su una giostra sognante, senza volervi più scendere. Per esempio, in attesa di oltrepassare la soglia di un teatro rimesso a lustro e restituito alla comunità, il Piccinni, può capitare di scambiare due parole con il direttore organizzativo, l’instancabile Angelo Ceglie, che ci conferma come già aver messo su un programma di questo tipo, con tutte le restrizioni del momento, può essere considerato un piccolo miracolo. Non conosciamo chi sia il santo protettore del cinema, ma si merita una devota preghiera per questa grazia donataci. Così come può accadere di conversare piacevolmente con il giornalista e critico cinematografico Enrico Magrelli, filologo della settima arte, ma soprattutto fonte inesauribile e primaria di storie. Ci dice, per esempio, che il cinema americano sta provando a scuotersi di dosso i tragici effetti della pandemia, mentre nulla si sa di quale sorte toccherà al cinema nostrano a partire già da questo autunno. E noi non possiamo fare altro che restare in attesa degli eventi, mostrandoci fiduciosi.
Poi chiaramente ci sono loro, i film, i veri protagonisti della kermesse. I mattinée al Piccinni sono qualcosa di fantastico, perché si fa buio e si va lontano con la mente e con il cuore mentre fuori il resto del mondo continua a lavorare, a passeggiare, a vivere imperturbabile. Il 24 agosto, nella terza giornata del festival, è stato proiettato “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino. Il regista romano non ci ha mai deluso e non lo fa nemmeno questa volta: anche ciò che dal trailer ci sembrava una nostalgica e melensa rievocazione dei piaceri adolescenziali, si rivela tutt’altro, con nostro immenso piacere.
“Gli anni più belli” è un’opera generazionale, che abbraccia un arco temporale di quarant’anni e che porta sul grande schermo la vita nel suo altalenante dipanarsi. Quattro amici adolescenti crescono e diventano uomini e donne, tra tradimenti, fallimenti, separazioni, ricongiungimenti, compromessi, tante amarezze e qualche piccola grande gioia, senza mai perdere la voglia di brindare “alle cose che rendono felici”. A fare da sfondo alle micro-storie dei protagonisti è la macro-storia, gli eventi socio-politici più salienti dagli anni ’80 al 2000. Un tantino fuorviante il titolo, dunque. Il film di Muccino è piuttosto una tragi-commedia umana, una tela in cui sono dipinte tutte le sfumature dei sentimenti umani e che ci fa sentire irrimediabilmente coinvolti. Eccezionale il cast, che vede riunito il meglio del cinema italiano contemporaneo: Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Micaela Ramazzotti.
Dopo i titoli di coda, dal Piccinni siamo andati via con una strana sensazione in petto, un miscuglio poco definito di tenerezza e disillusione. Ad accompagnarci verso l’uscita, c’era la voce di Claudio Baglioni. Nella colonna sonora ci ricorda che gli anni più belli sono qui, sono le cose che ci fanno stare bene.