di Rossella Guglielmo
Viviamo un tempo difficile, un tempo di separazione dagli affetti e di chiusura al mondo. E ciò che ora ci tiene isolati e ci impedisce ogni gesto o forma di socializzazione, probabilmente in qualche modo ci cambierà.
Sapremo ancora amare? Ci saranno ancora intensi abbracci e baci innamorati? Chi può dirlo. Non sappiamo quanto coraggio riusciremo a tirar fuori o se avremo per molto tempo paura di ogni contatto.
Ma nei momenti di dubbio e incertezza, è nella letteratura, nella poesia in particolar modo, che possiamo trovare conforto e, perché no, anche risposte.
Una tematica molto interessante è quella della separazione degli amanti o del commiato che vorrei ripercorrere brevemente. La poesia crea ponti fra gli innamorati, ma porta anche conforto ai lettori nei momenti bui. Ed è questo oggi il caso. Leggiamo per attraversare vuoti, per alleviare sofferenze, per ritrovare il sentiero, perso ogni punti di riferimento nel marasma dell’angoscia.
Che cos’è l’amore? Rispondere è difficile. Tutti lo abbiamo provato o lo proviamo. Ma la parola della quotidianità non può esprimere un sentimento così complesso. Ecco che interviene un altro tipo di parola, che procede per immagini al fine di rendere visibile la bellezza di un mondo interiore, sconfinato, incontenibile. Cito uno dei passi più belli, a mio parere, della letteratura per rispondere a una domanda che in molti ci siamo posti:
Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.
Lev Tolstoj, Anna Karenina
L’amore è un fiume in piena che investe e trascende ogni volontà. E seppure il protagonista di questo bellissimo romanzo, il conte Vronskij, cerca di distogliere lo sguardo da Anna, non può impedirsi di provare ciò che prova e di vederla senza guardare.
E travolti da un sentimento profondo, cosa soffrono gli amanti? La separazione. Noi oggi stiamo facendo l’esperienza del distacco dall’Altro e dagli affetti. E nell’attesa di ricongiungerci, di abbracciarci, ci godiamo dei bei passi letterari che ci parlano, dialogano con le nostre anime in questo momento difficile.
Ecco che inizia il nostro viaggio nella poesia. E da dove si parte? Beh, dalla lirica provenzale, analizzando i versi celebri del troubadour Jaufré Rudel:
[…] Iratz e dolens m’en partirai
S’eu no vei cest’amor de lonh
No.msai quora mais la virai
Que tan son nostras terras lonh
Jaufré Rudel (v. 1100-v. 1150), Extrait de « Lanquan li jorn son lonc en mai… »
Il nostro poeta ci parla di un’amata che vive in un terra lontana, utilizzando proprio il sintagma «amor de lonh», amore lontano, per definirla. Ma qual è la storia di questo amore sofferto?
Jaufré Rudel si innamora, senza averla mai incontrata, della Dama d’Oriente. Un amore nato dalle narrazioni che circolavano su questa donna che viveva in un luogo altro, lontano rispetto al poeta. Questa Dama, sicuramente esistita, è stata riconosciuta come la principessa di Tripoli (Libano), Mélissinde. E Jaufré, come annuncia in questi versi, non potendo vivere senza vederla, affronterà un viaggio lungo e pericoloso. Tutto pur di incontrarla, di stringerla al petto, di incrociare il suo sguardo. E la leggenda vuole – triste leggenda! – che arrivato finalmente al suo cospetto, il poeta, carico di stenti per la traversata faticosa, finisse col morire fra le braccia della sua Dama. Un primo e ultimo abbraccio con cui consegna la sua anima e i suoi versi a questo amore straniero.
Questa storia bella e struggente ha affascinato molti artisti, fra cui anche il nostro Carducci, il quale celebra la delicatezza della ricerca dell’amata in un suo componimento che si chiude con questa strofa meravigliosa e toccante:
La donna su ‘l pallido amante
Chinossi recandolo al seno,
Tre volte la bocca tremante
Co ‘l bacio d’amore baciò,
E il sole da ‘l cielo sereno
Calando ridente ne l’onda
L’effusa di lei chioma bionda
Su ‘l morto poeta irraggiò.
Giosuè Carducci, “Jaufré Rudel”, in Rime e ritmi (1898)
Un altro amore che vive il triste destino della separazione lo ritroviamo in un’opera celebre di Corneille, spostandoci, con un bel balzo temporale, nel XVII secolo. Parliamo della tragicommedia Le Cid, che racconta di come un affronto fra i due padri dei giovani amanti abbia avuto come conseguenza per il loro amore la lontananza e il risentimento.
Don Rodrigue e Chimène si amano. Sono destinati a unire le loro vite, poiché non vi è alcun impedimento naturale o sociale al loro amore. Eppure il Destino interviene e fa la sua parte: il padre di Chimène offende il padre di Rodrigue e lo sfida a duello. Quest’ultimo è troppo in là con gli anni per battersi degnamente e chiama il figlio al dovere verso la propria famiglia. Don Rodrigue non può far altro che obbedire. Nella celebre scena del suo monologo a tono lirico, nota come “le stanze del Cid”, il giovane amante sa che dovrà affrontare la perdita del suo amore:
Je demeure immobile et mon âme abattue
Cid, Atto I, Scena VI
Rodrigue, fermo, immobile nel suo dolore, sa che dovrà rinunciare al suo amore perché nel duello o perderà lui stesso la vita o ucciderà il padre della sua amata. E in questo lungo monologo ogni strofa termina con “Chimène”, alternando “Père de Chimène” a “Perdre Chimène”, in un’invocazione dolorosa quasi volendo, col pronunciare disperato il nome della donna, arrestare il corso tragico degli eventi che determineranno la separazione.
Il Cid, in quanto tragicommedia, inserisce, nell’evento tragico, il lieto fine. Difatti, Rodrigue libera la sua città dagli invasori e Chimène decide di perdonarlo, riconoscendo nel suo amato un’alterità irriducibile, una terra straniera non da conquistare o comprendere, ma da accettare in nome di un amore profondo.
Attraversando la Manica, approdiamo sulla letteratura inglese e troviamo John Donne (1572-1631) e la sua lirica amorosa. E citiamo dei versi di una delle sue più belle poesie:
Busy old fool, unruly sun,
Why dost thou thus,
Through windows, and through curtains call on us?
John Donne, The Sun Rising, in Songs and Sonnets
IL poeta si rivolge al sole e lo definisce “vecchio stolto affaccendato”, poiché con la sua fretta di sorgere desta gli amanti, li trasporta nella quotidianità in cui dovranno separarsi, suggerendoci che si tratta di un amore proibito, non approvato dalla società. Il giorno regola il mondo esterno ma il mondo degli innamorati è il mondo segreto, folle, della notte. E il risveglio all’alba – immagine presente anche in “Romeo and Juliet” di Shakespeare – separa i due amanti e li costringe al commiato.
Gli esempi nella letteratura sono innumerevoli, di innamorati che si cercano poiché l’amore, come suggerisce Platone nel Simposio, è mancanza, ricerca di qualcosa che si desidera. E tale ricerca smuove mari, ci mette in viaggio su navi insicure, fa tremare i nostri cuori che intraprendono sentieri sconosciuti.
Chiudo però con una poesia che ci dà speranza, che ci ricorda quanto era bello un abbraccio o la magia di un bacio capace di trasportarci fuori dalla dimensione reale e dalla banalità del quotidiano:
Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout
Contre les portes de la nuit
[…]
Les enfants qui s’aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l’éblouissante clarté de leur premier amour.Traduzione
I ragazzini che si amano si baciano in piedi
Le spalle contro le porte della notte
[…]
I ragazzini che si amano non sono lì per nessuno
Sono altrove, ben oltre la notte
Ben più in alto del giorno
Nell’accecante luce del loro primo amore
Jacques Prévert, Les Enfants qui s’aiment, 1951, in Spectacle
Una sitografia per approfondire:
https://it.wikisource.org/wiki/Rime_e_ritmi/Jaufr%C3%A9_Rudel
https://terresdefemmes.blogs.com/mon_weblog/2007/04/jaufr_rudelun_a.html
https://commentairecompose.fr/le-cid-acte-1-scene-6-texte/
https://interestingliterature.com/2016/02/10-john-donne-poems-everyone-should-read/
http://lefrancaismonamour2013.blogspot.com/2016/11/les-enfants-qui-saiment-de-jacques.html