A TAVOLA CON… DUE AUTORI ROMAGNOLI: GIOVANNI PASCOLI E TONINO GUERRA

di Carmela Moretti

Se c’è un posto in Italia in cui l’amore per la cucina è viscerale, be’… quel posto è la Romagna. In quel fazzoletto di terra tra gli Appennini, il Po e l’Adriatico, il cibo non è mai inteso come semplice fonte di sostentamento; esso rientra piuttosto in una sfera antropologica e culturale, in quanto manifesta un modo di pensare, di sentire, di agire e di vivere la vita. I sapori e gli odori di una tavola imbandita per i romagnoli sono pura “poesia”, poiché suscitano emozioni, rievocano ricordi indelebili, raccontano storie lontane, riportano il cuore e la mente indietro nel tempo, fino a risalire a quella che il poeta Tonino Guerra chiama “l’infanzia del mondo”.

Per cogliere appieno questo rapporto ancestrale tra vita e cibo, immaginiamo di fare un viaggio nella cucina romagnola, affidandoci a due autori figli di quella terra: Giovanni Pascoli e, per l’appunto, Tonino Guerra. Sebbene divisi da più di mezzo secolo di storia e con personalità per nulla assimilabili – schivo e solitario il primo, amabilmente prorompente il secondo – entrambi hanno saputo andare al di là della realtà ontologica per cogliere il mistero delle cose. E tutti e due sono partiti proprio da quella ricchezza di colori, suoni, profumi e sapori, di cui la Romagna sa essere sempre generosa.

A San Mauro Pascoli, che fino a 1932 si chiamava San Mauro di Romagna, si trova la casa natale del poeta delle Myricae. Siamo nella provincia di Forlì-Cesena, nella pianura tra i fiumi Uso e Rubicone, a circa 6,6 km dal mare. Qui – molto più che nella conosciuta Villa Torlonia – il poeta trascorse gli anni più dolci della sua esistenza, prima che il “nido” familiare fosse sconvolto dal terribile assassinio di suo padre e da una serie infinita di lutti, a cominciare dalla morte della madre Caterina.

Ebbene, c’è un posto nella casa-museo di Pascoli che si è conservato pressoché intatto, a differenza della parte restante dell’abitazione, andata distrutta durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Si tratta proprio della cucina, che si presenta al visitatore così com’era, con il soffitto in legno, il grande focolare domestico, l’acquaio in pietra, gli utensili e i mobili d’epoca.

Pascoli resterà ancorato alla cucina di quegli anni e, a Castelvecchio (in Toscana) come nelle altre città italiane in cui vivrà, cercherà sempre quei sapori e quei profumi dell’infanzia. A quanto pare, era solito stendere la sfoglia per le tagliatelle. Si occupava di travasare il vino e di impastare il pane, i due prodotti della civiltà contadina che sulla sua tavola non dovevano mancare mai. Nelle lettere inviate agli amici di San Mauro, richiedeva continuamente prodotti romagnoli per le sue ricette; per esempio, in una lettera ringrazia l’amico sammaurese Pietro Guidi per le sogliole e i cefali freschissimi che aveva ricevuto e che all’indomani avrebbe fatto cucinare fritti o meglio ancora a brodetto.

Alla piada, poi – il cibo romagnolo per eccellenza – il poeta ha dedicato addirittura un poemetto, di cui riportiamo alcuni versi. È la prima testimonianza scritta, in cui la piada viene menzionata.

Il mio povero mucchio arde e già brilla:

pian piano appoggio sopra due mattoni

il nero testo di porosa argilla.

Maria, nel fiore infondi l’acqua e poni

il sale; dono di te, Dio; ma pensa!

l’uomo mi vende ciò che tu ci doni.

(…) Ma tu, Maria, con le tue mani blande

domi la pasta e poi l’allarghi e spiani;

ed ecco è liscia come un foglio, e grande

come la luna; e sulle aperte mani

tu me l’arrechi, e me l’adagi molle

sul testo caldo, e quindi t’allontani.

Io, la giro, e le attizzo con le molle

il fuoco sotto, fin che stride invasa

dal calor mite, e si rigonfia in bolle:

e l’odore del pane empie la casa. […]

Passiamo a Tonino Guerra.

Per entrare nel cuore di questo poeta, scrittore e sceneggiatore visionario, bisogna andare a Pennabili, un incantevole borgo medievale a 700 metri di altitudine in provincia di Rimini. Qui, Guerra decise di tornare dopo tanto girovagare, per ritrovare i suoi “luoghi dell’anima”. Uno di questi è L’orto dei frutti dimenticati, ideato dal poeta nel 1990 e definito da egli stesso “un museo dei sapori, necessario per non dimenticare il gusto di quelle piante che stavano addosso alle vecchie case contadine e che oggi sono scomparse”. Vi troviamo l’azzeruolo, la pera cotogna, la corniola, il giuggiolo, l’uva spina, il biricoccolo.

Ripetuto e costante è stato l’invito di Tonino Guerra a riscoprire i prodotti del passato, a cominciare da quelli della terra, così devotamente e faticosamente lavorata dai contadini. Infatti, sebbene nella sua vita fosse aperto a sperimentare di tutto, tanto nell’arte quanto nella cucina – dai piatti russi a quelli georgiani, fino ai vini e ai formaggi francesi – ha sempre inseguito i sapori genuini e semplici. Per intenderci, sono quelli delle minestre della mamma Penelope, che ricercherà fino all’ultimo dei suoi giorni.

Apprendiamo alcune curiosità culinarie sull’amatissimo poeta romagnolo grazie alla lettura del libro “Tonino Guerra, il cibo e l’infanzia – Noi continuiamo a mangiare nei piatti della mamma”, scritto dal giornalista e gastronomo Graziano Pozzetto. Per esempio, Tonino Guerra non terminava mai il pasto, lo interrompeva prima; non mostrava interesse per gli antipasti; amava le tagliatelle al ragù dell’albergo ristorante “Zaghini” di Sant’Arcangelo di Romagna, che si presentavano “fragranti, gustose e di larghezza media”. Tra gli altri piatti a lui cari, sono citati: l’agnello, la pasta e fagioli con i maltagliati e – il piatto prediletto su tutti – le involtine della mamma, di cui nel libro ci viene riportata la ricetta.

Ovviamente, anche per Tonino Guerra non doveva mai mancare il pane. Durante la sua prigionia nel campo di concentramento a Troisdorf, in Germania, patì la fame; di quella tragica esperienza, amava raccontare che quando tornò, la prima cosa che suo padre gli chiese, accogliendolo sull’uscio della casa, fu: “Hai mangiato?”.

Ma fu in quella occasione, nella privazione e nel dolore, che Tonino cominciò a scrivere poesie in romagnolo per i suoi compagni prigionieri e, quindi, scoprì la propria vocazione poetica e letteraria.

Ecco, i romagnoli sono proprio così, come ci insegnano questi due autori a cui ci siamo rivolti in questo viaggio: nella durezza della vita si àncorano alle radici e in questo modo sono certi di volare senza perdersi mai.

 

Gli involtini alla romagnola: https://storie.hotelsansalvador.com/le-nostre-ricette/involtini-alla-romagnola.html

La piadina romagnola: https://www.lacucinaitaliana.it/storie/luoghi/la-vera-piadina-e-solo-romagnola/

“Tonino Guerra, il cibo e l’infanzia”: https://www.amazon.it/dp/8865419156?tag=gz-blog-21&linkCode=osi&th=1&psc=1&ascsubtag=0-f-n-av_santippe

 

 

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