NESSUNO SI SALVA DA SOLO

di Trifone Gargano

L’espressione «nessuno si salva da solo», nei giorni più tristi del contagio da coronavirus, è rimbalzata di bocca in bocca, e da un network a un altro, fino a diventare popolare (o virale, come s’usa dire oggi, in epoca social), perché l’ha utilizzato il Premier italiano, Giuseppe Conte, per ammonire l’Unione Europea a non essere insensibile al grido d’aiuto che giunge dall’Italia (e da altri Paesi membri dell’UE, maggiormente colpiti dal contagio). La drammatica sfida posta dal coronavirus, ammoniva Conte, o la si vince in gruppo, tutti assieme, come una grande squadra, oppure la si perde tutti.

La stessa espressione era utilizzata, qualche giorno prima, pure papa Bergoglio, in un momento della sua preghiera di adorazione del Santissimo Sacramento, conclusasi con la Benedizione Urbi et Orbi, impartita dal Pontefice verso una piazza san Pietro desolatamente vuota, spettrale. Con quelle parole, il papa richiamava ciascuno di noi a riscoprire l’autentico senso della fratellanza umana, oltre gli egoismi e la superbia.

In letteratura, nel 2011, Margaret Mazzantini pubblicava, per i tipi A. Mondadori, il romanzo intitolato Nessuno si salva da solo, con largo successo di pubblico e di critica. Il romanzo racconta, con tono crudo, la storia di una ex coppia, una famiglia sfasciata, quella di Gaetano, sceneggiatore televisivo, e di Delia, biologa nutrizionista, ancora giovani (tra i 30 e i 40 anni), ma con un matrimonio già alle spalle, e con due figli da gestire, Cosmo e Nico. I due ex coniugi si vedono una sera a cena, in un ristorante all’aperto, per concordare e programmare l’estate dei due bambini. La cena è l’occasione per un bilancio a ritroso del loro amore, dalla passione degli inizi, all’ira del presente. Alla fine, si avvicina al loro tavolo una coppia di anziani coniugi, Vito e Lea. Vito rivela di essere malato di cancro, e confessa che, senza volerlo, hanno ascoltato i loro discorsi. Dopodiché, chiede ai due la cortesia di pregare per lui, dal momento che, afferma, «nessuno si salva da solo».

Dal libro, nel 2015, fu ricavato un film, con lo stesso titolo, diretto da Sergio Castellitto, con Riccardo Scamarcio e Jasmine Tinca nel ruolo di Gaetano e di Delia. La sceneggiatura del film la firmò ugualmente Margaret Mazzantini. Anche il film ebbe un enorme successo, di botteghino e di critica.

Archetipo del concetto che nessuno possa salvarsi da solo è la Divina Commedia di Dante, il nostro Classico per eccellenza. Precisamente, nel canto XI del Purgatorio, quest’idea viene solennemente ribadita, all’interno di una larga trattazione sul vizio della superbia, il primo e il più terribile dei sette vizi capitali:

«ché noi […] non potem da noi» (v. 8),

da soli, non possiamo salvarci.

I canti X-XI-XII del Purgatorio costituiscono un trittico (come tanti altri presenti nel poema dantesco), tutto centrato sul primo (e più importante) dei sette vizi capitali, quello della superbia. L’organizzazione dei tre canti è perfettamente speculare: nel canto XI, che è centrale, rispetto agli altri due, Dante incontra e dialoga con alcune anime; nel canto X e nel canto XII, Dante inserisce sia riflessioni di carattere morale sul vizio della superbia e sulla virtù opposta dell’umiltà, sia alcuni esempi di superbia punita e di umiltà premiata, sotto forma di sculture, di immagini parlanti (coniando l’inedita e potentissima espressione «visibile parlare», X, 95).

Il canto XI del Purgatorio si apre con la preghiera del Padre nostro, senza alcun preambolo, in modo solenne:

O Padre nostro, che ne’ cieli stai [Pg., XI, 1]

La preghiera, recitata coralmente dalle anime purganti, a sottolineare proprio il concetto che nessuno si salva da solo, propone oltre al testo canonico (evangelico) della preghiera, anche brevi commenti, e meditazioni morali. Quindi, la sottolineatura, che abbiamo riportato poco sopra, presente al v. 8 del canto, della necessità dell’intervento divino, per il raggiungimento della nostra salvezza.

Ad ogni modo, già dal canto I dell’Inferno Dante aveva affermato tale principio, sulla necessità, cioè, di un aiuto, nel cammino di salvezza (di redenzione), facendo entrare in scena il poeta latino Virgilio, primo delle sue tre guide, nel viaggio ultraterreno.

Virgilio, poeta latino tra i più noti e letto in tutto il Medioevo, autore dell’Eneide, il capolavoro della poesia epica classica, principale (ed esplicita) fonte del poema dantesco. Virgilio guiderà Dante per tutto l’Inferno, e per gran parte del Purgatorio (fino al Paradiso terrestre, dove gli subentrerà, come guida, Beatrice stessa). Egli ha sede nel Limbo, tra i grandi dell’antichità (si veda If. IV), e appare a Dante nella selva oscura:

dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco [If., I, 62-3],

inviato da Beatrice, per soccorrerlo e per guidarlo verso la salvezza. Sarà Dante stesso, nel momento dell’improvviso congedo di Virgilio, in Purgatorio, a sottolineare il suo ruolo salvifico:

Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’mi [Pg., XXX, 49-51]

Quel Virgilio, simbolo della ragione umana, che, nel primo canto infernale, era stato presentato come indiscusso (e amato) modello di poesia:

O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che mi ha fatto onore [If., I, 82-7]

A Beatrice, figlia di Folco Portinari, e, successivamente, andata sposa a Simone de’ Bardi, Dante fu legato da profondo sentimento d’amore, sin dalla prima fanciullezza (stando al racconto della Vita nuova). Morta giovanissima, nel 1290, fu cantata da Dante, in diverse sue opere giovanili (in gran parte, poi, confluite nel prosimetro della Vita nuova). Beatrice, simbolo della teologia, che succede alla ragione umana, è la seconda guida di Dante, verso la salvezza. Appare a Dante nel Paradiso terrestre:

così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
donna m’apparve, sotto verde manto
vestita del color di fiamma viva [Pg., XXX, 28-33],

e lo accompagnerà fino all’Empireo, al di là del nono Cielo, sede propria di Dio, non luogo fisico, ma luce (l’espressione è di Beatrice: «ciel ch’è pura luce»), dove lo affiderà alla terza guida, il mistico san Bernardo, per tornarsene ad occupare il proprio scranno, tra tutti gli altri beati della candida rosa, dove ha sede la «milizia santa»:

e se riguardi su nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro [Pd., XXXI, 67-9]

San Bernardo guiderà Dante nell’Empireo (ultimissimi canti del Paradiso), per il trionfo della Vergine Maria, e per la visione salvifica di Dio. Dottore della Chiesa e fondatore del monastero di Clairvaux, che divenne, ben presto, il centro più importante dell’Ordine cistercense, san Bernardo fu teologo e mistico. Ecco perché sarà lui, nel canto finale del poema (e del viaggio dantesco), a rivolgere alla Vergine la celeberrima preghiera di intercessione, affinché Dio si manifesti a Dante:

sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi [Pd., XXXIII, 33].

Approfondimenti testuali, legati all’articolo:
canto IV dell’Inferno: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Inferno/Canto_IV
canto XXX del Purgatorio: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Purgatorio/Canto_XXX
canto I dell’Inferno: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Inferno/Canto_I
canto XXXI del Paradiso: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Paradiso/Canto_XXXI
canto XXXIII del Paradiso: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Paradiso/Canto_XXXIII
canto XI del Purgatorio: https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Purgatorio/Canto_XI
per il Padre nostro: https://it.wikipedia.org/wiki/Padre_nostro

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