LA DIDATTICA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS: ATTRAVERSARE VUOTI, RITROVARE IL SENSO

di Rossella Guglielmo

Un film muto è strano. All’inizio, per chi non è abituato, disturbante. Non ci sono suoni di alcun tipo. E ci si concentra su quella mancanza, su quel vuoto che d’impatto è straniante, ci stacca dal contesto e ci crea disagio. Poi un poco alla volta ci si abitua e si cominciano a prendere in considerazione altri elementi. La mimica accentuata, gli sguardi in primo piano, i movimenti, le transizioni. E poi arriva lei, la parola. Questi inserti di testo fra una scena e l’altra che, quasi un muto narratore, rendono conto dell’azione appena svoltasi.

Il disagio diminuisce e ci si adatta a un mondo amputato di sensi, ma non di senso. Ecco che un prodotto artistico viene rivalutato nel suo statuto.

Viviamo in una realtà caotica, in un flusso di corrente ad alta intensità: sempre in movimento, in contesti ricchi di suoni e rumori. E questo nostro vivere è fatto di sguardi, di tatto, di odori e abbracci. E poi lei, la parola. Ma non una parola scritta, che, fissa su uno schermo sgranato, commenta vagamente e perde le sillabe, perde ciò che si muove sulle labbra. No. È una parola completa in suoni, ritmo, inflessioni, accenti. La parola nel contesto formale e la parola dell’intimità, i suoni dell’anima da sussurrare ad altra anima. La parola della preghiera che si muove e sibila sulla bocca, appena pronunciata, e la parola urlata a squarciagola di chi si batte per qualcosa in cui crede.

La scuola, un mese fa …

Il docente entra classe, si guarda intorno. Vede i suoi alunni, li saluta. Saluta a suo modo e i ragazzi rispondono ognuno in un modo diverso, personale, unico. E poi si scambiano sguardi, si sospira e si sorride. La prof si siede, accende il PC. Vede tutti i suoi allievi, seduti, scomposti, assonnati. Bene, si spiega o si interroga? I ragazzi sgomitano: – vedi che tocca a te, sei tu oggi che devi andare volontario. No, dai io ho studiato scienze e ieri ho fatto inglese. Oh, chi va oggi? Dai, che la prof si arrabbia. La prof accende la LIM. Inizia così un giorno qualunque, fatto di gesti quotidiani, di routine, di cose date per scontate.

Un’insegnante durante una lezione in classe in una foto d’archivio. ANSA/ ALESSANDRO DI MEO

Bene, tutta questa normalità, questo scorrere ritmico delle giornate, tutto ora è bloccato, fermo. Le scuole sono vuote, vuote di suoni e di odori, non si odono le familiari voci di una comunità in fermento.

I ragazzi chiusi nelle loro abitazioni, i docenti al PC che cercano un contatto, una valida alternativa a quel taglio operato sulle nostre vite. Ecco che si sceglie la DaD, acronimo coniato per definire una tipologia di didattica non pronta a sostituire totalmente la “normalità”. E questo non solo in Italia, ma in molti Paesi colpiti dal COVID-19.

La scuola oggi, ai tempi del Coronavirus …

All’inizio proprio come un film muto. Disagiante, strano. Il contatto difficile, la tecnica non ancora ben chiara. Manca un pezzo, manca l’umanità in presenza. Anche la DaD è priva di alcuni “sensi”, ma non priva di senso. Provi, sperimenti, adatti, cambi qua e là, trovi il giusto metodo per mantenere vivo l’interesse e ci siamo: Prof, ho preparato delle slide. Prof, non ho finito la ricerca. Prof, ho visto il video sui Gallicismes, ma non ho capito alcune cose. Bene, la Prof apre la piattaforma e inizia una nuova lezione.

Oggi, la scuola …

Manca quasi tutto, ma in fondo al vaso di Pandora resta la speranza e resta l’amore.

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