I TWITT FULMINANTI DELLA DIVINA COMMEDIA

di Trifone Gargano

LA TWITTERATURA
I post, cioè, i messaggi testuali, con funzione di opinione e/o di commento, che siamo abituati a scrivere (e a leggere) sui social network, hanno dato vita, in italiano, al neologismo postare. Facebook e Twitter sono due social network nei quali gli utenti, con la loro pratica scrittoria, forniscono esempi di scrittura leggera, cioè, veloce e immediata. Chi scrive post e/o twitt, appena ha finito di scrivere, fa immediatamente clic sul pulsante Invia, senza rileggere/correggere quello che ha appena scritto e postato. Sui social network, infatti, è prioritario essere online, dire la propria, far sapere al mondo intero la propria opinione, su di un determinato evento, argomento. Questa velocità fulminante dei post, e dei twitt, la loro immediatezza, caratterizza anche la lettura: chi legge un post o twitt, infatti, lo fa in fretta, pensando all’immediata risposta, da scrivere e da inviare.

Nel caso di Twitter (dall’inglese to tweet, “cinguettare”), vige l’obbligo di scrivere testi di (soli) 140 caratteri. È evidente che questi social network possono essere utilizzati, con giovamento, nei processi didattici, perseguendo, grazie ad essi, obiettivi formativi disciplinari, di lettura e di scrittura:

– abilità di scrittura: il punto di vista; saper argomentare il proprio punto di vista; riconoscere, accogliere, controbattere il punto di vista altrui
– abilità letterarie: definire il personaggio, la trama, i luoghi, ecc., in 140 caratteri
– competenza sociale e civica: la civil conversazione e le pratiche conversevoli social
– scrittura creativa: inventare (micro)storie

La stringatezza del messaggio, la velocità d’inoltro e di scambio comunicativo, la leggerezza dello stile comunicativo, l’utilizzo delle emoticon, e l’economicità di questa modalità della comunicazione, sono stati gli elementi che ne hanno decretato il successo immediato, sin dal loro primo apparire.
Esperienze letterarie di scrittura leggera, con l’utilizzo dei social network, oramai, si moltiplicano, a più livelli. Alludo alla così detta Twitteratura, cioè, alla ri-scrittura di opere letterarie della tradizione, o di parti di esse, secondo i parametri e lo stile di Twitter (140 caratteri), o di Facebook (280 caratteri). Analogie tra questa scrittura leggera dei social network, e alcune forme (e generi) della scrittura letteraria del mondo antico sono da rintracciare negli epigrammi, negli aforismi, nei proverbi e nei distici. La scrittura leggera, concisa, arguta, ironica, lirica, immediata dei social network rinnova, dunque, forme e generi letterari della tradizione classica.

LA TERZINA DANTESCA
Si tratta di una strofe composta da tre soli versi endecasillabi, con il primo e il terzo in rima tra loro; e con il secondo verso che dà la rima al primo e al terzo della terzina successiva. Per questa ragione, viene detta anche terzina incatenata: ABA BCB CDC. In chiusura di successione, alla fine del canto, l’ultimo verso rima con il secondo dell’ultima terzina: YZY Z. All’interno dei canti della Commedia dantesca, la sequenza delle terzine oscilla da un minimo di 115, a un massimo di 160; in ogni caso, questo numero dev’essere sempre divisibile per 3, con il resto di 1. In tal modo, la parte iniziale e finale del canto presentano due rime, rispettivamente, d’apertura e di chiusura, che vengono chiamate rime rilevate (esse ricorrono, cioè, soltanto 2 volte, all’interno del canto).

Sostanzialmente, è stato Dante l’inventore di questo metro, desumendolo, è ovvio, da forme metriche precedenti. Al di là della fonte metrica (se cioè la terzina derivi dal serventese o dal sonetto, o, come altri hanno sostenuto, dallo schema del sillogismo ternario), sta di fatto che, con gli accorgimenti apportati da Dante, la terzina, nelle sue mani si è rivelata uno strumento espressivo di altissima versatilità. Ne è nato, così, un ritmo della narrazione agile e performativo, duttile a piegarsi a ogni necessità di registro espressivo (umile, medio, alto). A non dire, poi, del significato del numero 3, che, nel caso del poema dantesco, assume una valenza semantica unica e potente, come tutti sanno, con il rinvio al mistero della Unità e della Trinità di Dio.
È stato ampiamente studiato, per il testo della Divina Commedia, il problema del rapporto tra sintassi e metro, giungendo anche ad analizzare i casi di perfetta coincidenza tra il verso e l’unità sintattica. Io, qui, molto più modestamente, suggerisco di guardare alla terzina dantesca, e alla sua formidabile duttilità metrico-sintattica, dal di dentro del punto di vista degli stili della scrittura social (post e twitt), specie in tutti quei casi di intenzionale travalicamento sintattico dei limiti metrici. La terzina dantesca (e i canti di terzine che compongono l’intero poema) sono entità metriche chiuse, ma anche aperte, nel senso che, proprio grazie alla geniale invenzione dantesca della catena rimica, esse presentano questa duplice natura. Versi e terzine, infatti, nella Commedia, pur conservando spesso una certa fissità ritmica e sintattica, di fatto, però, a causa della catena rimica, tendono ad aprirsi. Già nel 1902, Giuseppe Lisio notò, nel suo studio dedicato alla costruzione del periodo nelle opere volgari di Dante, che in un totale di 4711 terzine, sono presenti 3422 periodi, di cui solo 288 non terminano con il metro, ma lo travalicano. Nel dettaglio, Lisio notava che i periodi chiusi in una sola terzina fossero complessivamente 2152; quelli su due terzine, 774; su tre terzine, 174; su quattro, 36; su cinque, 11; su sei, 5; su sette, 2; su otto e su nove, 1 ciascuna.
La terzina dantesca, essendo composta da versi endecasillabi, al suo interno presenta 33 sillabe, numero che rinvia alla più generale simbologia del 3, che ho già richiamato. Dal mio punto di vista di osservazione metrico-sintattica, noto che ciascuna terzina dantesca è composta, mediamente, da poco più di 100 caratteri, spazi e punteggiatura inclusi. Siamo, cioè, ben al di sotto del limite massimo delle 140 battute prescritte dal protocollo comunicativo di Twitter.
Per i periodi composti da due terzine, i caratteri salgono, in media, a poco più di 200, rientrando, quindi, nei limiti suggeriti dal protocollo comunicativo dei post di Facebook, che, generalmente, non devono superare le 280 battute (spazi inclusi).
Dallo studio che ho citato di Giuseppe Liso, si nota come ben 2152 terzine, su di un totale di 4711 (quasi la metà, dunque), manifestano perfetta coincidenza tra sintassi e metro, con un ritmo che direi «fulminante», proprio alla luce delle considerazioni odierne sulla leggerezza e sulla velocità della comunicazione via Twitter, e quindi sulla sua efficacia. Ben altri 774 casi, nello studio di Lisio, chiudono il periodo su due terzine. Tra post e twitt, allora, siamo in presenza di ben 2152 terzine, e di 774 coppie di terzine, nelle quali il ritmo narrativo di Dante appare decisamente rapido, leggero e veloce (ripeto, fulminante), anche ad un esame contemporaneo, da perfetto comunicatore social.

TWITT DELLA COMMEDIA
Riporto qui una esemplificazione, dal canto I dell’Inferno, della classificazione di terzine in twitt e post, lasciando al gusto del gioco personale l’individuazione, per tutti gli altri 99 canti della Divina Commedia, dei rispettivi twitt e post delle terzine dantesche. Dall’esame del testo del canto primo, emerge chiaramente la prevalenza dantesca per un ritmo sentenzioso, da twitt, nel quale, cioè, metro e sintassi coincidono perfettamente. La concatenazione narrativa e logica dei singoli frammenti (i singoli twitt), e quindi anche l’unità poetica del canto, è garantita, lo ribadisco, proprio dalla catena rimica, che tiene assieme tutti questi singoli topic del linguaggio. Ritmo stringente; tono arguto e sentenzioso; andamento fluido. Al modello twitt sono riconducibili ben 22 terzine. Al modello post, 7 doppie terzine. Nel canto primo dell’Inferno, inoltre, sono presenti pure 3 casi di periodo costruito su ben 3 sequenze di terzine. Per questi 3 casi, come modello, ho pensato di metterli sotto la voce Flame, che, nel gergo di Internet, sta per intervento prolisso, non gradito, a volte, ripetuto e insistente. In chiusura di canto, il verso singolo 136, con la sua rima rilevata in –etro, sigilla metro e sintassi.
Fra parentesi quadre, indico il numero delle battute, per ciascun esempio di twitt, post o flame.

TWITT

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
[102]

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
[107]

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
[115]

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
[102]

Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
[105]

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.
[121]

Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
[109]

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
[108]

Quando vidi costui nel gran diserto,
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”.
[111]

Rispuosemi: “Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
[97]

Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
[116]

Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ’l superbo Ilïón fu combusto.
[111]

Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?”.
[111]

“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?”,
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
[116]

“O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore
che m’ ha fatto cercar lo tuo volume.
[115]

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ ha fatto onore.
[110]

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”.
[107]

Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.
[117]

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.
[103]

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.
[101]

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.
[105]

In tutte parti impera e quivi regge;
quivi è la sua città e l’alto seggio:
oh felice colui cu’ ivi elegge!”.
[108]

POST

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,

guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
[219]

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,

così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
[216]

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;

e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
[217]

Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,

questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
[208]

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista;

tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.
[229]

A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

ché quello imperador che là sù regna,
perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge,
non vuol che ’n sua città per me si vegna.
[223]

E io a lui: “Poeta, io ti richeggio
per quello Dio che tu non conoscesti,
acciò ch’io fugga questo male e peggio,

che tu mi meni là dov’or dicesti,
sì ch’io veggia la porta di san Pietro
e color cui tu fai cotanto mesti”.
[220]

FLAME

Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino

mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle

l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
[318]

“A te convien tenere altro vïaggio”,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
“se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;

ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;

e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ’l pasto ha più fame che pria.
[333]

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;

ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;

e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
[315]

Verso di chiusura

Allor si mosse, e io li tenni dietro.
[37]

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