CLEONICE TOMASSETTI, L’EROINA CHE INCITAVA GLI UOMINI A MORIRE CON DIGNITÀ

di Carmela Moretti

Hanno i volti tumefatti, i corpi segnati dalle torture subite nella notte. Sfilano con il cartello “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”, sul lungolago di Verbania (da Villa Caramora alla piana di Fondotoce) in quella che sembra una carnevalata messa in scena dai tedeschi, a memoria presente e futura. Sono carne da macello, di lì a poco verranno fucilati, e quel corteo pensato ad hoc è un ultimo sopruso alla loro dignità.

Il corteo dei 43 martiri di Fondotoce

L’eccidio dei 43 martiri di Fondotoce, in provincia di Verbania, è uno degli episodi più efferati della Resistenza italiana. Restano soltanto tre fermo-immagini, ormai sbiaditi, a testimoniare il sacrificio di quei 42 uomini e una donna per provare a restituire la libertà al popolo italiano.

La donna è proprio in prima fila, con un foulard che le copre il viso, il capo abbassato, stringe una borsa in una mano. Indossa abiti che altre donne vollero donarle, per farla morire con onore. È Cleonice Tomassetti, la personificazione in carne e ossa del coraggio declinato al femminile.

Cleonice, detta Nice, ha il destino già tutto scritto nel suo nome. Significa “che ottiene una vittoria gloriosa”.

Originaria della provincia di Rieti, dopo la morte della madre e per sfuggire agli abusi del padre – a causa dei quali restò incinta – lasciò il podere natio a soli sedici anni. Perse il bambino, si trasferì prima a Roma, poi a Milano. Fu qui, dove per sopravvivere faceva la commessa e la cameriera, che entrò in contatto con gli ambienti antifascisti. Quando i suoi amici Sergio Ciribi e Giorgio Guerreschi decisero di andare in montagna per unirsi alla formazione Valdossola, Nice rispose senza tentennamenti “Allora vengo anch’io”, e a nulla valsero i tentativi di distoglierla da quel rischioso proposito.

Cleonice Tomassetti

Partirono qualche giorno più tardi, il 14-15 giugno 1944, ma purtroppo arrivarono nel bel mezzo dei rastrellamenti che già da alcuni giorni stavano interessando la zona.

Dopo aver trascorso la notte in una baita, all’alba vennero prelevati dai tedeschi e uniti ad altri prigionieri. Per ricostruire ciò che accadde in quelle ore, fondamentali sono state le testimonianze di Carlo Suzzi, unico sopravvissuto dei 43, e del giudice d Verbania Emilio Liguori, arrestato perché sospettato di complicità con i partigiani e detenuto con i 43 prigionieri.

Vennero torturati per ore e pare che i tedeschi infierissero con più efferatezza proprio su Cleonice, quasi a voler reprimere quel coraggio sfrontato e impertinente che veniva fuori dal corpo di una donna.

Venne addirittura sottoposta più volte a finte impiccagioni: con una corda attorno al collo, la sollevavano da terra più volte e quando perdeva i sensi, la facevano rinvenire per poi ricominciare.

Cleonice, però, non perse mai la calma e la fermezza. Anche durante i cinque chilometri in cui il gruppo sfilò da Intra a Fondotoce, era lei a incitare gli uomini a perdere la vita con dignità, pur di non piegarsi al nemico.

“Su, coraggio, ragazzi, è giunto il plotone d’esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio morire da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi”, pronunciò con voce squillante l’impavida donna.

Poi tutti si sdraiarono per terra e tre alla volta furono fucilati. Nice perse la vita per prima.

Ecco, quando oggi sventoleremo il tricolore con entusiasmo e intoneremo al vento i più celebri canti della Resistenza italiana, tra le tante stelle partigiane, rivolgiamo un tenero pensiero anche a lei, a Cleonice Tomassetti, e alla sua “vittoria gloriosa” sulla disumanità del nazifascismo.

(le foto sono tratte dall’archivio della Casa della Resistenza di Fondotoce)

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