A TAVOLA CON …PINOCCHIO

di Trifone Gargano

C’era una volta…
– Un re! – diranno i miei piccoli lettori.
– No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.

Celeberrimo incipit della letteratura italiana, che dà l’avvio a una storia, quella del burattino Pinocchio, tra le più belle e lette al mondo, con traduzioni in tutte le lingue del pianeta, e con trasposizioni televisive e cinematografiche, ri-scritture per fumetto e per teatro, che non si contano, dalla fine dell’Ottocento, quando il libro uscì per la prima volta, a puntate, e solo in un secondo momento in volumetto, fino ad oggi (l’ultimo film su Pinocchio è del 2019, scritto e diretto da Matteo Garrone). L’Italia bambina di cui scrive Carlo Collodi, nel 1881, è una nazione appena nata, povera e contadina, afflitta da tanti mali, primo fra tutti quello della miseria e della fame.
Proprio la fame, infatti, anche in forma rabbiosa, attraversa l’intero libro di Pinocchio.

Il burattino ha sempre fame. Sempre. E le poche volte che riesce a soddisfare questo suo (insaziabile) bisogno di cibo, lo fa in maniera vorace, rabbiosa, animalesca. Geppetto, del resto, è così povero da non avere quasi mai nulla in dispensa. Perfino la pentola, che bolle sul fuoco, in realtà, è una pentola dipinta, non reale! Egli è, sì, un babbino generoso e premuroso, specie con il suo figliolo, ma, un giorno, non ha che tre pere da offrirgli, togliendole a sé stesso, e Pinocchio, pur facendo lo schizzinoso, le divora senza tanti complimenti. E alla fine ha ancora fame; sicché il burattino si butta sulle bucce, e sui torsoli delle tre pere.

Il pulcino dispettoso

«Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece l’atto di scoperchiarla: ma la pentola era dipinta sul muro. Allora si dètte a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco. Ma non trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla.
E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre […].
Quand’ecco che gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa di tondo e di bianco, che somigliava tutto a un uovo di gallina […].
Pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino un po’ d’acqua: e quando l’acqua principiò a fumare, tac!… spezzò il guscio dell’uovo.
Ma invece della chiara e del torlo scappò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una bella riverenza disse:
– Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa! –
Ciò detto, distese le ali, e, infilata la finestra che era aperta, se ne volò via a perdita d’occhio».

L’Osteria del Gambero rosso

La Volpe e il Gatto, quei due gran birboni, hanno convinto l’ingenuo Pinocchio a seminare in un campo miracoloso gli zecchini d’oro ricevuti in regalo da Mangiafoco, e destinati al babbo Geppetto. I due imbroglioni propongono una sosta presso l’osteria del «Gambero rosso», dove si ingozzano ben bene, per poi schiacciare un pisolino. Pinocchio non riesce a mangiare nulla (né a dormire), tutto preso dalle fantasie sulla miracolosa pianta che, a detta della Volpe, in breve tempo, avrebbe moltiplicati i suoi zecchini d’oro.

«- Fermiamoci un po’ qui – disse la Volpe – tanto per mangiare un boccone e per riposarci qualche ora. A mezzanotte poi ripartiremo per essere all’alba nel Campo dei miracoli.
Il povero Gatto, sentendosi gravemente indisposto di stomaco, non poté mangiare altro che trentacinque triglie con salsa di pomodoro e quattro porzioni di trippa alla parmigiana: e perché la trippa non gli pareva condita abbastanza, si rifece tre volte a chiedere il burro e il formaggio grattato!
La Volpe avrebbe spelluzzicato volentieri qualche cosa anche lei: ma siccome il medico le aveva ordinato una grandissima dieta, dové contentarsi di una semplice lepre dolce e forte con un leggerissimo contorno di pollastre ingrassate e di galletti di primo canto. Dopo la lepre, si fece portare per tornagusto un cibreino di pernici, di starne, di conigli, di ranocchi, di lucertole e d’uva paradisa; e poi non volle altro.
Pinocchio mangiò meno di tutti. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa».

Solo i cattivi, nel libro di Pinocchio mangiano tanto (e bene), e, in questo caso, anche a sbafo.

La lumaca dispettosa (e lenta)

Dopo un’intera notte trascorsa sotto la casa della Fata, finalmente la Lumaca si decide a offrire a Pinocchio qualcosa da mangiare:

«- Portatemi almeno qualche cosa da mangiare, perché mi sento rifinito.
– Subito! – disse la Lumaca.
Difatti dopo tre ore e mezzo Pinocchio la vide tornare con un vassoio d’argento in capo. Nel vassoio c’era un pane, un pollastro arrosto e quattro albicocche mature.
– Ecco la colazione che vi manda la Fata – disse la Lumaca.
Alla vista di quella grazia di Dio, il burattino sentì consolarsi tutto. Ma quale fu il disinganno, quando incominciando a mangiare, si dové accorgere che il pane era di gesso, il pollastro di cartone e le quattro albicocche di alabastro, colorite al naturale»

Finivano quasi sempre così i pranzi e le cene di Pinocchio: desiderate, a lungo, ma quasi mai consumate. La Fata, qui, lo ha ripagato con la sua stessa moneta: a Pinocchio che dice bugie, vien servita una colazione …bugiarda.

Il pane «sciocco»

È il pane di Firenze (o pane toscano), impastato, cioè, senza l’aggiunta del sale. Il pane, nel libro di Pinocchio, viene nominato (e desiderato) molte volte.

La stessa Fatina, per festeggiare Pinocchio, farà imburrare «dugento panini», che, però, nessuno mangerà, perché Pinocchio, da gran bugiardo, nel frattempo, sarà scappato con Lucignolo (e con l’Omino di burro, che guida il carro trainato da 12 coppie di ciuchini), nel Paese dei Balocchi.

Solo nel Paese dei Balocchi, Pinocchio mangerà dolci in gran sazietà, come, del resto, anche tutti gli altri bambini, abitanti di quel paese, per ritrovarsi, però, di lì a qualche settimana dopo, trasformato in ciuchino, e con lui anche Lucignolo, ovviamente.

Già Dante, nel canto XVII del Paradiso, per bocca di Cacciaguida, suo trisavolo, annunciandogli l’esilio, aveva parlato del pane senza sale di Firenze:

Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui […], vv. 58-9

Come ho già scritto, Pinocchio, però, preferirà seguire Lucignolo, e quindi l’indomani non si trasformerà in bambino, e non festeggerà più con tutti gli amici di scuola la sua ri-nascita. Una sola volta, una soltanto, la Fata darà a Pinocchio una vera squisitezza da mangiare: un confetto di rosolio.

Il Pescatore verde, che vuol mettere Pinocchio in padella

Caduto nella rete di uno strano Pescatore verde, e scambiato per un pesce, Pinocchio rischierà di finire in padella. Dalla morte per frittura, il burattino verrà salvato da Alidoro, il can mastino che proprio Pinocchio, in un episodio precedente, aveva salvato in mare da sicuro annegamento.

«Mentre il pescatore era proprio sul punto di buttar Pinocchio nella padella, entrò nella grotta un grosso cane condotto là dall’odore acutissimo e ghiotto della frittura […].
– Salvami, Alidoro! Se non mi salvi, son fritto!
Il cane riconobbe subito la voce di Pinocchio e, con meraviglia, notò che la vocina era uscita da quel fagotto infarinato che il pescatore teneva in mano.
Allora che cosa fa? Spicca un gran lancio da terra, abbocca quel fagotto infarinato e tenendolo leggermente coi denti, esce correndo dalla grotta, e via come un baleno!»

Maccheroni alla napoletana

Pinocchio, comunque, sogna e pregusta piatti gustosi e ricchi, della tradizione italiana (ovviamente, si tratta di piatti e leccornie mai assaggiati). Diventato ciuchino, dopo l’esperienza del Paese dei Balocchi, Pinocchio è costretto a mangiare paglia e fieno:

«Allora prese una boccata di paglia tritata; ma in quel mentre che la masticava si dové accorgere che il sapore della paglia tritata non somigliava punto né al risotto alla milanese né ai maccheroni alla napoletana».

RICETTE PER ACCOMPAGNARE LA LETTURA DELLE AVVENTURE DI UN BURATTINO

Uovo al tegamino: potrebbe sembrare banale (e facile facile) da fare, ma non è così. Pochi passaggi e pochi minuti, ma da compierli con attenzione, per ottenere un tuorlo fondente (non sodo), e un albume morbido (non asciutto).
Versare dell’olio in un tegamino, per cotture in forno; ungere tutte le pareti del tegamino con un pennellino; rompere il guscio dell’uovo, avendo cura che il tuorlo resti integro, versandolo nel tegamino; cuocere in forno pre-riscaldato a 200° per 6 minuti; quindi, sfornare e condire con sale (e anche con pepe, se è di gradimento).

Pollo arrosto: secondo piatto sfizioso, per una cena tra amici; da cuocere per intero e con la pelle, in modo che rilasci il suo grasso e aiuti a mantenere tenera (e succosa) la carne.
Prima di infornare, il pollo dev’essere ricoperto, all’esterno e all’interno, da un trito di sale e di erbe aromatiche (salvia o origano); versare un po’ di olio sul fondo della pirofila; quindi, infornarlo a 200°, per circa un’ora; a metà cottura, girare il pollo nella pirofila.

Zuppa toscana alla contadina:
pane raffermo di pasta molle
fagioli bianchi
olio
acqua
cavolo cappuccio, cavolo nero
bietola
patata
un quarto di cipolla grossa, un gambo di sedano, due spicchi d’aglio e un pizzico di prezzemolo
sugo di pomodoro
cotenne di pancetta o di prosciutto tagliato a strisce

Maccheroni alla napoletana: per questo piatto occorre molta pazienza (e tanto tempo); la sua preparazione richiede tempo, dedizione e cura (tenendo la cottura del ragù sempre d’occhio); si può impegnare il tempo d’attesa, spezzando a mano i ziti, da condire con il ragù, una volta pronto.
Pelare e tritare cipolla; sgrassare i pezzi di carne e tagliarli in pezzi più piccoli; far rosolare la cipolla in una pentola capiente, a fiamma bassa, con olio extravergine; introdurre i pezzi di carne e lasciare per 5 o 6 minuti; far sfumare il vino rosso; aggiungere la passata di pomodoro; aggiungere acqua e un pizzico di sale, e lasciare il tutto a fuoco sobbollente, per circa 4 ore (facendo attenzione ad aggiungere dell’acqua alla bisogna).

Risotto alla milanese: primo piatto che, grazie allo zafferano, assume profumi e colori unici, pur nella sua semplicità e essenzialità; cremoso al palato, grazie alla sapiente mantecatura.
Preparare il brodo vegetale; tritare finemente la cipolla; sciogliere il burro in una pentola grande, e aggiungervi la cipolla tritata, per 10 o 15 minuti; versare, quindi, il riso e tostarlo per 3 o 4 minuti; sfumare il vino bianco; aggiungere il brodo (un mestolo pe volta) e lasciar cuocere per 18 o 20 minuti, avendo cura che il riso sia sempre coperto dal brodo; poco prima della cottura, versare i pistilli di zafferano e mescolare, fino a vedere il riso assumere la coloritura giallo oro; spegnere, salare e mantecare con formaggio grattugiato e il burro; lasciar riposare per un paio di minuti.

2 Risposte a “A TAVOLA CON …PINOCCHIO”

  1. Carissimo Nino ho letto con attenzione ciò che hai scritto sul famoso , prezioso, gioioso gustoso e “saporoso” libro di Caterina su Pinocchio, libro che ci ha aiutato a crescere ,giocare ,trasgredire immaginare e…..sognare di vivere in in mondo dove si può anche fantasticare e migliorare ….volevo tempo fa comprarlo e regalarlo a due coniugi Gianfranco e Lucrezia perché lei ha una passione enorme di libri su Pinocchio con illustrazioni…andai da Maria Laterza e purtroppo non lo trovai allora mi propose di comprare un Pinocchio inedito intrigante a cura di Camilleri e Gregoretti….ebbene sai cosa ho deciso?….dopo questa tua suggestiva presentazione ne comprerò due uno per me e l’altro da regalare agli amici di cui sopra …quando ti leggo e vedo i tuoi interventi su Facebook sono sempre allibito e positivamente stordito ed affascinato nonché inebriato…come mi sarebbe piaciuto essere il “tuo preside” mi avresti insegnato ancora di più ad essere dalla parte di chi si appassiona e si entusiasma a veicolare la bellezza rivoluzionaria e vitale della poesia,dell’arte,della letteratura della musica e….saluti fragranti e rigeneranti a te ,Caterina e prole una famiglia che profuma di leggiadre viole tuo Gege’ P.S.dove mi conviene andare dalla libreria Roma o Feltrinelli?

  2. Carissimo Gegè, grazie per le belle parole che scrivi (sul libro curato da Caterina e su questo mio articolo, che racconta del rapporto con il cibo di Pinocchio… e un po’ anche di tutti noi).scappano)
    Ti abbraccio, e ti dico che io, non tu, avrei voluto averti come Preside! Allora, sì, che avremmo fatto scintille, rendendo (finalmente) la scuola quel luogo magico da non marinare (come nel caso del Paese dei Balocchi), in nome della ludo-didattica.
    Per il libro, potresti ordinarlo direttamente online dal sito della Progedit; oppure, chiederlo tramite la Libreria Roma).
    Ti abbraccio,
    Nino

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